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Uber-files, i tassisti italiani chiedono chiarimenti al governo

Il Guardian pubblica i documenti: 'Pressioni e violazioni delle leggi, coinvolto anche Macron'

Inizia ad avere ripercussioni anche in Italia l'eco dell'inchiesta di un consorzio di media internazionali, fra i quali il Guardian che ha portato alla luce una diffusa campagna di lobbying condotta da Uber, facendo pressioni anche su importanti personaggi politici, per far diventare l'azienda un leader del settore di trasporti, sconvolgendo il settore dei taxi.

Intanto trapela il nome dell'informatore che ha fatto trapelare i file interni dell'azienda: è il lobbista irlandese Mark MacGann. L'uomo, 52 anni, ha lavorato per l'azienda tra il 2014 e il 2016 come capo lobbista per Europa, Medio Oriente e Africa. "Non ci sono scuse per il modo in cui l'azienda ha giocato con la vita delle persone", ha detto, "sono disgustato e mi vergogno. Avevamo effettivamente venduto alle persone una bugia", ha detto.

"La violenza ci serve, prima di offrire la soluzione", è testo di un messaggio scritto dall'ex capo di Uber, mentre la potente multinazionale californiana lavorava per far salire il livello di contrapposizione tra i tassisti italiani e i loro conducenti, reclutatiti nel mondo del noleggio da rimessa", affermano le organizzazioni sindacali del comparto che parlano di "un quadro a tinte fosche, sistematiche violazioni delle leggi, sfruttamento della manodopera, continue violazioni dei diritti dei lavoratori e una costante azione di pressione su autorevoli esponenti di diversi governi e rappresentanti politici, affinché le norme vigenti nei paesi in cui prepotente è entrata Uber, vengano modificate per non intralciarne il cammino.

A questo proposito i sindacati chiedono di sapere "da chi è stato ricevuto il capo di Uber a palazzo Chigi e di cosa si è parlato, in un momento così delicato nel quale, senza alcun apparente motivo, i tassisti sono stati inseriti nel Ddl Concorrenza nonostante la liberalizzazione del servizio non sia prevista dalla Direttiva Comunitaria Bolkestein e tale obiettivo, non è tra quelli necessari da raggiungere per ottenere i fondi europei del PNRR.

Non mancano neppure le prese di posizione da parte dei diversi esponenti politici. I deputati della Lega in Commissione trasporti, Elena Maccanti ed Edoardo Rixi, sottolineano che l'inchiesta "getta un'ulteriore ombra sull'articolo 10 del ddl Concorrenza che qualcuno si ostina a non voler stralciare" e chiedono di "sapere con chiarezza chi ha inserito la norma nel provvedimento e perché". Il vicepresidente di FdI fabio Rampelli avverte che  "le rivelazioni del quotidiano The Guardian confermano l'esistenza di una rete di pressione che Uber ha esercitato su Macron. Ma la forte influenza sull'allora ministro dell'Economia francese ne fa temere di analoghe, più pesanti e disinvolte, con gli apparati pubblici italiani e con le istituzioni europee sulle quali grava sempre una coltre di mistero sui processi lobbistici che ne determinano le scelte,
troppe volte incomprensibili quando non ingiuste". E per il deputato di LeU Stefano Fassina l'inchiesta "fa un'importante operazione verità sulle ragioni vere di tanta pressione da parte della Commissione europea e di sedicenti governi 'riformisti' per aprire il trasporto pubblico locale non di linea alla concorrenza delle multinazionali".

Effetti si avvertono anche in ambito internazionale. La Commissione Europea "invierà una lettera di chiarimento" a Neelie Kroes, ex commissaria alla competizione, in seguito allo scoop pubblicato da diversi media sui cosiddetti Uber Files, secondo cui Kroes avrebbe aiutato la società a fare pressioni su Mark Rutte e altri politici olandesi. "Stiamo raccogliendo informazioni, non siamo il tipo di organizzazione che arriva alle conclusioni senza prove". Lo ha detto un portavoce della Commissione Ue.

Gli oltre 124 mila documenti interni ottenuti dal Guardian coprono un periodo di cinque anni, in cui Uber era gestita dal co-fondatore Travis Kalanick, costretto poi a dimettersi nel 2017 dagli azionisti proprio per le sue azioni spregiudicate. Nella gigantesca opera di lobbying la compagnia avrebbe cercato di ottenere il sostegno, "corteggiando con discrezione", primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e tycoon dei media. In particolare Macron avrebbe fornito un "aiuto spettacolare", secondo quando emerge dai documenti.

Il quotidiano ricorda che Parigi nel 2014 fu teatro del primo lancio europeo di Uber, che incontrò una dura resistenza da parte dell'industria dei taxi, culminata in violente proteste nelle strade. E nei documenti analizzati ci sono messaggi tra Kalanick e Macron, che avrebbe aiutato segretamente l'azienda in Francia quando era ministro dell'Economia, consentendo a Uber un accesso frequente e diretto a lui e al suo staff. In particolare, nonostante i tribunali e il parlamento avessero vietato Uber, Macron - scrive il Guardian - accettò di lavorare con l'azienda per riformare le leggi del settore. E firmò un decreto che allentava i requisiti per la licenza dei conducenti del servizio di trasporto privato. I file rivelano anche come l'ex commissaria Ue per il digitale Neelie Kroes fosse in trattative per unirsi a Uber prima della fine del suo mandato, a novembre 2014, e poi segretamente fece pressioni per l'azienda, in potenziale violazione delle norme etiche europee. C'è anche un risvolto che riguarda Joe Biden, quando era vicepresidente degli Stati Uniti. Quando arrivò in ritardo a un incontro con l'azienda al World Economic Forum di Davos, Kalanick mandò un messaggio a un collega: "Ho fatto sapere ai miei che ogni minuto in ritardo è un minuto in meno che avrà con me".

E dopo aver incontrato Kalanick, Biden avrebbe modificato il suo discorso preparato a Davos lodando l'azienda. C'è anche un risvolto italiano nell'inchiesta Uber Files. 'Italy - Operation Renzi' - rivela L'Espresso - è il nome in codice di una campagna di pressione, dal 2014 e il 2016, con l'obiettivo di agganciare e condizionare l'allora presidente del consiglio e alcuni ministri e parlamentari del Pd. Nelle mail dei manager americani, Matteo Renzi viene definito "un entusiastico sostenitore di Uber". Per avvicinare Renzi, Uber utilizzò, oltre ai propri lobbisti, personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Ma il leader di Italia Viva ha spiegato di non aver "mai seguito personalmente" le questioni dei taxi e dei trasporti. E comunque il suo governo - ha precisato L'Espresso - non ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso californiano. Uber, commentando l'intera vicenda, ha ammesso che sono stati commessi "errori e passi falsi", ma ha chiarito che l'azienda si è trasformata dal 2017, dopo l'uscita di scena di Kalanick, con il suo attuale amministratore delegato, Dara Khosrowshahi. "Non creeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali", ha affermato. "Chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire".

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