Anche la pandemia ha i suoi eroi: e, come nel mito, agli eroi non sempre arride la fortuna. In una Gran Bretagna allineata ormai di buon passo verso le restrizioni più severe - dopo le esitazioni iniziali e il tentativo forse illusorio di teorizzare una via più morbida e graduale nella battaglia al coronavirus - è il caso del professor Neil Ferguson, accademico dell'Imperial College di Londra, il cui team è accreditato d'aver persuaso il governo di Boris Johnson e i suoi consiglieri scientifici a cambiare passo.
Suonato l'allarme e vinta la sua sfida a colpi di diagrammi per riportare i palazzi del potere e il Paese lungo un binario di maggiore prudenza, nella difesa delle vite umane sull'isola, Ferguson si è come accasciato. Vittima, pare, di quello stesso virus a cui aveva deciso di dichiarare guerra. Da qualche ora è "in auto-isolamento" a casa con sintomi di probabile contagio da Covid-19 in corpo, sullo sfondo di un nazione dove l'incremento dei casi ha fatto segnare in 24 ore un nuovo record di 676 in più, fino a oltre 2.600. Ad annunciarlo è stato lui stesso, dopo aver trascorso gli ultimi giorni correndo avanti e indietro, di riunione in riunione, fra Downing Street e il parlamento di Westminster: laddove sospetta d'esser stato in ultimo infettato.
Ferguson non è un virologo o un epidemiologo, ma un docente di biologia matematica. Ed è coautore della ricerca-shock secondo i cui calcoli l'accelerazione dell'epidemia verificata nel Regno nei giorni scorsi avrebbe condotto - in assenza d'una stretta immediata sui contatti sociali - a un livello di ricoveri insostenibile per il servizio sanitario nazionale (Nhs, carente soprattutto di posti letto di terapia intensiva). E a una stima potenziale di 250.000 morti nei prossimi mesi. "Sigh - ha twittato in nottata - ho una tosse secca, ma persistente e sono isolato, anche se mi sento bene". Poi, un secondo messaggio: "Dalle 4 ho la febbre alta". E infine l'ultimo sfogo, rassegnato: "C'è molto Covid-19 a Westminster".