(di Alessandro Ursic)
(ANSA) - BANGKOK, 6 OTT - Dopo quasi cento giorni al governo,
tra Rodrigo Duterte e i filippini è ancora luna di miele. Un
sondaggio pubblicato oggi rivela che il 76 per cento della
popolazione è "soddisfatto" dell'operato del presidente,
nonostante - o anche grazie a - l'ondata di critiche
internazionali verso gli abusi della "guerra alla droga"
dichiarata dal leader di Manila, che ha causato almeno 3.500
morti. Mentre il resto del mondo scuote la testa di fronte al
"Trump filippino", per i suoi connazionali Duterte rimane una
star.
Il sondaggio, basato su risposte date a fine settembre da
1.200 interpellati, evidenzia un consenso granitico. Solo l'11
per cento si dice insoddisfatto, mentre il 13 per cento è
indeciso. Nell'isola di Mindanao - dove si trova il "feudo" di
Davao, controllato da Duterte o dai figli da ormai tre decenni -
la percentuale di consensi sale fino all'88 per cento. Cifre
enormi rispetto a quelle del suo posato predecessore Benigno
Aquino, considerato troppo debole e inefficace dagli elettori,
specie nella lotta al crimine e alla corruzione.
Nessun presidente ha fatto parlare così tanto di sé nei suoi
primi cento giorni. Se le promesse che si fanno in campagna
elettorale vengono di solito disattese, Duterte è partito da
subito mettendo in pratica la linea dura ampiamente prospettata
prima del voto. A ogni comizio fomentava la sete di vendetta
della folla verso i narcotrafficanti, parlando di "100 mila
criminali" da uccidere. Un obiettivo che di questo passo è
raggiungibile, considerati i sei mesi di mandato: in poco più di
tre mesi al potere, la sua "guerra alla droga" ha causato almeno
3.500 morti.
Le critiche internazionali non lo intaccano, anche perché chi
lo ha votato sapeva benissimo - a lo apprezzava - che nei suoi
anni da sindaco Duterte ha utilizzato lo stesso approccio (con
almeno 1.200 esecuzioni sommarie). La popolazione spera che "il
modello Davao" possa ora funzionare su scala nazionale,
chiudendo un occhio sulla scia di sangue e apprezzando piuttosto
i 22 mila arresti e gli oltre 700 mila sospettati che si sono
consegnati pur di non essere uccisi dalla polizia o da
vigilantes affiliati.
I filippini amano il suo carisma e la sua enfasi sul
patriottismo, nonché la sua linea dura verso la corruzione. Gli
insulti a leader e organizzazioni mondiali - "figlio di puttana"
a Barack Obama e Ban Ki-moon, altri improperi verso l'Onu e la
Ue - scandalizzano all'estero, ma in patria il linguaggio
colorito di Duterte lo avvicina alla lingua del popolo. Lui
continua imperterrito: pochi giorni fa ha mandato "all'inferno"
Obama, accontentandosi del purgatorio per Bruxelles. Le uniche
scuse sono arrivate per aver menzionato i milioni di ebrei
uccisi da Hitler, aggiungendo poi che sarebbe contento se
potesse fare lo stesso con i tossicodipendenti.
Se il totale dei morti e le sparate fanno più notizia, i
primi cento giorni di Duterte hanno anche fatto intravedere
segnali di un possibile riallineamento diplomatico delle
Filippine, tradizionale alleato filippine nella regione. Al di
là degli insulti a Obama, Duterte sta mostrando a più riprese la
volontà di avvicinarsi alla Cina, anche per attirare maggiori
investimenti. Per Pechino, intenzionata a espandere la sua zona
di influenza e sempre più baldanzosa sulla questione delle isole
contese nel Mar cinese meridionale (anche con le Filippine), è
un inaspettato regalo. Per Washington, un mal di testa per cui
non sembra ancora avere una risposta. (ANSA).