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Libia, Gentiloni: prudenza e riserbo per riportare a casa i rapiti

Aperte tutte le piste. Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, dipendenti della ditta di costruzioni Bonatti di Parma, sequestrati mentre rientravano dalla Tunisia


"Considero molto scarsa la probabilità che il rapimento" degli italiani "abbia una relazione con i trafficanti.
Piuttosto crediamo si tratti di criminali che vogliono turbare le relazioni che vogliamo instaurare con l'Italia". Lo dice il premier di Tripoli Khalifa al-Ghweil in un'intervista a La7 di cui è stata fornita un'anticipazione. "Certamente seguiamo con molta attenzione questa spiacevole faccenda", assicura il primo ministro del governo di Tripoli - che si oppone a quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale - nell'intervista esclusiva raccolta dall'inviata di Piazzapulita Francesca Mannocchi e che il Tg di La7 manderà in onda questa sera. "Prudenza, riserbo e molto valore sono necessari per riportare a casa i quattro nostri connazionali". Così il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, in merito al lavoro che l'Italia sta facendo per giungere alla liberazione dei quattro operai rapiti nei giorni scorsi in Libia. Il ministro spiega che "le forze della diplomazia, dell'intelligence e della sicurezza stanno lavorando. Ovviamente il nostro obiettivo è riportare a casa i quattro connazionali".

La pista degli scafisti per il rapimento degli italiani in Libia non è da considerare, si tratta sostanzialmente dell'iniziativa di una banda di soggetti non legati al terrorismo e che probabilmente cercano di monetizzare questa azione. Lo ha dettoil sottosegretario con delega ai Servizi Marco Minniti in una audizione al Copasir.

"Tutti sono nel mirino: è nel mirino qualunque paese che si batta per la tolleranza, la civiltà e il rispetto delle vite umane", ha spiegato il presidente Sergio Mattarella ai giornalisti che a Malta gli chiedevano se ci fosse un'offensiva fondamentalista in particolare contro l'Italia.

Fajr Libya, non abbiamo rapito noi gli italiani - Il portavoce di Fajr Libya - la milizia islamista che ha imposto un governo parallelo a Tripoli - ha affermato all'ANSA che il suo gruppo "non è dietro il rapimento degli italiani". "Non sappiamo chi li ha rapiti", ha detto Alaa Al Queck, "ma sappiamo che gli italiani si trovano nel sud-ovest e che entro 10 giorni saranno liberi". Alla domanda se il rapimento ha delle motivazioni politiche, o legate al pagamento di un riscatto, Al Queek ha aggiunto: "Ignoriamo i rapitori e dunque non ne conosciamo il motivo del gesto, ma quando lo sapremo lo riveleremo". La stessa fonte ha detto che Fajr Libya "sta cooperando con il ministero dell'Interno libico sulla vicenda"

Fonti ai media libici, 'italiani portati nel deserto' - Il quotidiano online libico 'Akhbar Libia24', citando fonti di Sabrata, città sulla costa nord-occidentale del Paese, ha scritto che "i 4 italiani rapiti sarebbero stati portati in una zona desertica dove è facile trovare nascondigli". Secondo le fonti, "i rapitori "hanno fatto scendere gli italiani dalla loro macchina, e li hanno fatti salire in un'auto obbligandoli a lasciare i loro telefoni cellulari". Il sito aggiunge che "l'autista dell'auto degli italiani è stato legato e abbandonato nel deserto".

Spariti nel nulla. Sono ore di angoscia per la sorte dei quattro tecnici italiani rapiti domenica scorsa in Libia, nei pressi della città di Mellitah (LA MAPPA). Dopo una giornata segnata dal silenzio totale, tutte le piste restano aperte, dai seguaci del Califfo ai gruppi di miliziani armati alle bande di criminali, fino ad una ipotetica rappresaglia di trafficanti di esseri umani. Prudente la Farnesina, che ha definito prematuro fare delle ipotesi, mentre l'Onu ha chiesto l'immediato rilascio dei nostri connazionali. A 48 ore dal sequestro di Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, dipendenti della società di costruzioni e manutenzione di impianti energetici Bonatti, manca ancora una rivendicazione ufficiale.

E mentre i servizi italiani sono al lavoro per individuare un canale 'utile', si moltiplicano le ipotesi su chi li abbia presi e sul perché. Vendetta, rappresaglia o estorsione? È molto "improbabile che il rapimento sia stato motivato da ragioni politiche, perché non sono state fatte rivendicazioni fino a questa mattina", hanno tagliato corto dalla rappresentanza libica in Italia, aggiungendo che gli inquirenti locali sospettano anche "motivazioni criminali di trafficanti di esseri umani" che potrebbero aver agito per "rappresaglia contro la missione unilaterale che ha il compito di individuare le navi che salpano dalla Libia verso l'Europa". C'è poi chi ipotizza la pista o meglio lo spettro dei terroristi dell'Isis. Ma per il momento si tratta solo di scenari, come quello che puntava il dito contro il gruppo Geish al Qabila, l'Esercito delle tribù, milizie tribali contrapposte a Fajr Libya. Un mistero che si infittisce considerata la realtà frammentata della Libia, Paese diviso tra Tobruk e Tripoli, dove non esiste un unico interlocutore. (SCHEDA). 

Per la Farnesina, che si è subito attivata con l'intelligence, è difficile fare ipotesi. Il ministro Paolo Gentiloni, che ieri aveva affermato che il rapimento non è una ritorsione contro l'Italia, questa mattina, incontrando l'inviato speciale dell'Onu per la Libia Bernardino Leon, ha definito "prematuro" ed "imprudente dare interpretazioni politiche sul movente". "Questo non è il momento di esercitarsi sui retroscena (VIDEO) - ha esortato il ministro - ma per mostrare il volto di un Paese unito come l'Italia che conosce il terreno e ha fiducia nel lavoro della diplomazia e dell'intelligence". Leon, da parte sua, ha chiesto il "rilascio immediato e senza condizioni" dei quattro tecnici. (VIDEO) Tobruk intanto ha aperto un'inchiesta e ha definito l'episodio indicativo dello stato della sicurezza nel Paese, sempre più precario.

Gentiloni, l'Italia non invierà migliaia di soldati in Libia - L'accordo di pace firmato una settimana fa dal governo di Tobruk e alcune fazioni politiche libiche "è la luce in fondo al tunnel" di una crisi che ha davanti a se' ancora molte giornate buie. E' ottimista ma non si fa illusioni l'inviato speciale dell'Onu, Bernardino Leon, che è volato a Roma per incontrare il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e fare con lui il punto su una situazione, in Libia, che vede l'Italia in prima linea e non solo per il rapimento tre giorni fa di quattro tecnici della Bonatti. "Senza l'Italia l'accordo firmato in Marocco non sarebbe stato possibile, è un passo molto importante. Ora c'è una road map", ha detto Leon che, in conferenza stampa con il titolare della Farnesina, ha per un attimo tirato un sospiro di sollievo dopo 11 mesi di lunghe e difficili trattative. Ma, ha subito avvertito, "dobbiamo essere realisti. Ci sono ancora molte cose da fare". Ma con l'incubo terrorismo sempre più vicino e la crisi dell'immigrazione che si aggrava ogni giorno adesso la comunità internazionale non vuole più restare a guardare e "sull'intesa scommette", assicura Gentiloni. "Le forze libiche "che si sottrarranno o addirittura boicotteranno l'accordo avranno una reazione di isolamento da parte della comunità internazionale come già è emerso molto chiaramente nella riunione di ieri a Bruxelles", ha messo in guardia il ministro degli Esteri che con i colleghi ha discusso l'ipotesi di "sanzioni personali" nei confronti di chi voglia ostacolare il processo di pace in Libia. "Il nostro impegno dei prossimi giorni - ha aggiunto - sarà quello di favorire un coinvolgimento ulteriore di forze che finora non hanno siglato questo accordo, a cominciare da Tripoli".  E "per rendere sicuro il percorso di stabilizzazione l'Italia assieme a diversi paesi europei, arabi ed africani darà il suo contributo", ha detto Gentiloni. Ma non inviando "spedizioni di migliaia di soldati" (VIDEO) bensì con un sofisticato lavoro di training, monitoraggio e sorveglianza che sara' fatto rispondendo alle richieste dei libici". Sulla necessita' di una presenza di soldati in Libia, Leon è dell'idea che "se c'è l'accordo politico, non ci sarà la necessità di una missione militare forte, come nel caso di altri Paesi nella regione, ma di un lavoro di addestramento e formazione delle forze libiche che abbia anche una componente civile". Questo è il quadro generale nel quale però non rientra la lotta all'Isis. "Quella sarà la prima sfida che il nuovo governo libico dovrà affrontare", ha precisato Leon. "L'Onu e la coalizione internazionale daranno il loro sostegno ma non se ne occuperanno direttamente".

 

 

 

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