Mazze, picconi e perfino il tiro a segno con i kalashnikov: i jihadisti dell'Isis hanno sfogato così la loro furia iconoclasta contro le statue e gli ornamenti dell'antica Hatra, in Iraq, patrimonio dell'Umanità Unesco, fiorente città dell'Impero dei Parti. Lo sfregio, annunciato e compiuto dai terroristi lo scorso 7 marzo, è stato ostentato al mondo con un video diffuso sui siti jihadisti intitolato "La distruzione degli idoli", condito dall'onnipresente "canto di battaglia" dell'Isis e commentato da un militante barbuto che, con accento della Penisola araba, afferma che le immagini umane, proibite dall'Islam, venivano "adorate al posto di Dio". Nel filmato montato si vede l'abbattimento dalle mura e lo sbriciolamento di grandi fregi di arenaria con volti in stile ellenistico a colpi di mazza dalla cima di una scala, il tiro a segno con l'Ak-47 contro un altro fregio e la demolizione a picconate di una cariatide scolpita con un ricco panneggio. Un'ennesima offesa dopo la distruzione in gennaio, documentata orgogliosamente in video, del patrimonio dell'antica biblioteca dell'Università di Mosul, fra cui molti antichi manoscritti, poi dei reperti archeologici conservati nel Museo di Mosul e dell'antica città assira di Nimrud: atti che l'Onu ha dichiarato "crimini di guerra".
E pensare che le mura in pietra di Hatra, costruite dall'impero Seleucide nel III secolo avanti Cristo, durante l'impero dei Parti, quando la città conobbe la sua massima fioritura, resistette a ben due attacchi dei Romani nel 116 e 198 d.C. Resta però da confermare - immagini satellitari riprese per conto dell'Unesco sembrerebbero smentirlo - che gli estremisti abbiano effettivamente raso al suolo coi bulldozer l'intera area archeologica. Il video sembra quasi una risposta dell'Isis alla perdita di Tikrit, la città sunnita dove nacque Saddam Hussein, riconquistata dall'esercito iracheno con il decisivo apporto delle milizie sciite addestrate e armate dall'Iran. E dove quanto si era temuto alla vigilia della controffensiva si è avverato: episodi di violenza e saccheggio perpetrati dagli sciiti sugli odiati sunniti raccontati da testimoni e residenti. Le milizie stanno lasciando Tikrit, che viene descritta come una "città in rovine". Ma per una città persa, sul lato opposto del territorio controllato dall'Isis, la jihad è alle porte di Damasco, dove avrebbe preso il controllo militare di quasi tutto il campo profughi palestinese di Yarmuk.
Migliaia, forse fino a 18.000 profughi sono intrappolati da giorni nel sobborgo in rovina, dove attivisti siriani descrivono una delle prime testimonianze di una saldatura, per lo meno tattica, fra i miliziani dell'Isis e i qaedisti del Fronte al-Nusra, finora rivali che fino a pochi mesi fa si massacravano a vicenda. A Yarmuk, martellata da oltre due anni di cannoneggiamenti da parte delle truppe di Bashar al Assad, ridotta da 150.000 a circa 18.000 abitanti e dove la fame convive con la violenza, si combatte da quattro giorni. Testimonianze raccolte dall'Ap parlano di decine di persone rapite e forse uccise dai jihadisti e di un tentativo di controffensiva delle altre fazioni ribelli laiche, che si sono unite dall'interno del campo e dalle circostanti località di Yalda, Babila e Beit Saham.