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Brexit: anti Ue passano in testa in media sondaggi

Guardian, sono al 52% contro il 48% dei Remain. Boris a testa bassa, 'fuori dal mercato unico è meglio'

Redazione ANSA

 Gli anti Ue passano in testa, 52% contro 48%, nella media aggiornata di tutti i sondaggi condotti in Gran Bretagna in vista del referendum sulla Brexit del 23 giugno. Lo riferisce il Guardian online, riportando inoltre un'ultima singola rilevazione dell'istituto Icm, secondo la quale 'Vote Leave' è al 53% contro il 47% dei 'Remain'.

L'Unione Europea si trova "in un momento delicato per non dire difficile" e "confido sia superato presto". Lo ha detto il presidente Mattarella parlando questa sera a Bucarest dove, sottolineando i legami tra Italia e Romania, ha spiegato che questi "dimostrano come l'Unione Europea va avanti con legami irreversibili". L'unione tra i popoli, ha aggiunto, è ciò "che lega, è il vero cemento e non i consigli dei ministri (europei, ndr)": "Ciò che rende inevitabile l'integrazione Ue". "Confido che la Gran Bretagna rimanga nella Ue e confido nella saggezza degli elettori britannici: credo sia non solo nell'interesse della Gran Bretagna e dell'Unione europea, ma anche nell'interesse della storia e del suo progresso". Lo ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Bucarest rispondendo ad una domanda sulla 'Brexit'. 

Boris a testa bassa, 'fuori dal mercato unico è meglio'  - La sterlina perde quota sul dollaro, i mercati sono sull'orlo di una crisi di nervi e da governi e istituzioni finanziarie occidentali non cessano di piovere previsioni allarmanti. Ma gli euroscettici britannici, a dieci giorni dal referendum Ue sì-Ue no del 23 giugno, replicano a testa bassa: puntando sulla paura dell'immigrazione "fuori controllo" e argomentando in materia economica che si può esportare nel mercato unico anche dal di fuori. Perfino meglio, sentenzia anzi l'ex sindaco di Londra Boris Johnson, citando due imprenditori di fama convertiti al verbo divorzista. I sondaggi, per quel che contano in un ginepraio di cifre contrastanti, sono tornati a incoraggiare negli ultimi giorni il fronte di 'Vote Leave'. E a poco valgono i moniti sui rischi del dopo-Brexit che in tanti - dal premier David Cameron ad analisti ed esponenti politici di mezzo mondo - continuano a lanciare. Tanto meno lo scenario apocalittico da declino "della civiltà occidentale" che, qualche decennio dopo il celebre saggio di Oswald Spengler, azzarda oggi Donald Tusk: liquidato del resto come prototipo di "eurocrate non eletto" nella narrativa dei sostenitori inglesi della separazione da Bruxelles. Johnson, il piu' popolare e ambizioso dei leader anti-Ue, ribatte colpo su colpo. Rispondendo sul Daily Telegraph al recente avvertimento a muso duro di Wolfgang Schaeuble ("fuori significa fuori", pure dal mercato unico, ha sibilato il superministro tedesco ai sudditi d'oltre Manica), il biondo ex sindaco conservatore ha provato a minimizzare l'effetto più temuto d'un eventuale addio al Club dei 28. Fuori dal mercato unico non c'e' la catastrofe, ha assicurato, forte dell'adesione che alla causa del divorzio comincia ad arrivare anche da una parte del mondo del business britannico: con le piccole e medie imprese spaccate a meta' e con qualche significativa eccezione emergente fra i grandi nomi di ciò che resta della manifattura del regno, se non della finanza. E' il caso di lord Anthony Bamford, numero uno del colosso meccanico Jcb, o di James Dyson, progettista e fondatore di un'azienda leader mondiale degli aspirapolvere senza sacchetto, citati entrambi da Johnson a sostegno della tesi secondo cui dal 1993 al 2015 ben "36 Paesi" esterni all'Ue - inclusi India, Russia, Cina, Usa, Canada e Brasile - "hanno fatto meglio della Gran Bretagna" in proporzione quanto a esportazioni in Europa. E lo hanno fatto "senza avere il 60% delle loro leggi imposto da Bruxelles".

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