Il quadro macroeconomico delineato nel Def è plausibile, ma non si possono chiudere gli occhi di fronte ai rischi di congiuntura sfavorevole che minacciano la ripresa, già piuttosto lenta, dell'economia italiana. Di fronte al Parlamento, che ha riunito le Commissioni Bilancio di Camera e Senato in una lunga maratona di audizioni per raccogliere i pareri di associazioni e istituzioni sul Documento di economia e finanza, Bankitalia ha lanciato il suo avvertimento sulla crescita ma soprattutto sul debito, nota dolente nelle discussioni con l'Europa.
Il calo previsto dal governo a partire da quest'anno è un fatto positivo, ma "i margini - segnala via Nazionale - non sono ampi". Un Paese con alto debito pubblico come l'Italia "è esposto a rischi elevati in caso di shock avversi all'economia", ha avvisato il vicedirettore generale di Palazzo Koch Luigi Federico Signorini, e per questo "è importante conseguire nel corso del tempo una riduzione del debito chiara, visibile e progressiva", da monitorare attentamente già nel corso di quest'anno per essere certi del raggiungimento dell'obiettivo. Allo stesso tempo bisogna dare sicurezza a famiglie, imprese e mercati, intervenendo in modo strutturale sul cuneo fiscale, puntando su interventi "rigorosi ed efficaci" sulle entrate e sulle spese, ed abbandonando la logica delle clausole di salvaguardia che finora, nel balletto sistematico di annunciarle per poi disattenderle, hanno solo creato incertezza, anziché - come inizialmente sperato - aumentare la credibilità del Paese. Disattivarle è assolutamente condivisibile, anche perché la pressione fiscale è ancora superiore ai livelli precrisi, ma l'obiettivo, ha proseguito Signorini, deve essere quello di andare verso un loro superamento nel lungo termine. Decisamente più grave è l'allarme arrivato dagli enti locali. Il Def non prospetta nuovi tagli, ma quelli già inseriti nella legge di stabilità sono insopportabili e poco realistici, secondo le Regioni, che invocano d'ora in poi risparmi "non lineari".
I Comuni denunciano invece un blocco del turnover troppo rigido, che al 25% previsto dalla manovra 2016 rischia di compromettere l'efficienza delle amministrazioni e depaupera gli enti dall'interno. Dopo l'abolizione di Tasi e Imu, l'Anci chiede quindi di recuperare autonomia impositiva e di bilancio e si propone come partner essenziale in vista della riforma del catasto, di cui il governo è tornato a parlare dopo l'archiviazione dell'argomento nella delega fiscale. La voce più critica è però quella dei sindacati. Le tre sigle confederali attaccano la prospettiva di una riforma dei contratti che prediliga esclusivamente il secondo livello. Il rischio è "di alterare l'equilibrio della struttura delle relazioni industriali del Paese, costruita in una logica di sistema in cui i ruoli dei livelli contrattuali sono ben distinti e dedicati", ma soprattutto - accusano i sindacati - di "ingenerare fenomeni negativi sia per i lavoratori che per le imprese: dumping per i primi, concorrenza sleale per le seconde". La Cgil denuncia inoltre una politica economica fatta per rimanere nello stato di crisi in cui il Paese versa e la Uil definisce inaccettabile l'assenza di riferimenti espliciti alla flessibilità in uscita. Grande assente nel Def è invece secondo Confindustria il Sud. Nel Documento non ci sono strumenti per il rilanci del Mezzogiorno e per sanare gli squilibri territoriali, nemmeno partendo dalla proroga anche al 2017 della decontribuzione per i nuovi assunti esclusivamente nelle Regioni meridionali. In questo contesto i livelli di crescita indicati nel quadro programmatico sono secondo gli industriali "insoddisfacenti", per quanto realistici. "È doveroso puntare su una crescita più elevata e fare ogni sforzo per raggiungerla" e per sanare "le ferite nel tessuto sociale" lasciate dalla crisi.