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Carosone, l'americano di Napoli

L'autobiografia aggiornata a 100 anni dalla nascita del maestro

(ANSA) - ROMA, 27 MAG - RENATO CAROSONE, FEDERICO VACALEBRE, "CAROSONE - 100. Autobiografia dell'americano di Napoli", prefazione di John Turturro, Albatros, pp. 176, 15,00 euro).
    Cento anni fa, il 3 gennaio 1920, nasceva nel cuore di una "Napoli popolare, stracciona eppure nobilissima", Renato Carosone, "questo naso triste come una salita, questi occhi allegri da italiano in gita". Renato l'americano, e non solo per quella canzone, Tu vuo' fa' l'americano, che gli diede un successo senza tempo. Piuttosto per quella sua capacità di essere stato interprete e rappresentante di spicco della canzone napoletana (e della musica leggera italiana), mescolando i ritmi partenopei con le melodie che arrivavano da lontano, dagli Stati Uniti come dall'Africa, tra tarantella, jazz, swing.
    "Pensare che l'uomo che ha scritto questa grande bellezza avrebbe oggi cento anni ci dà conferma di quanto siano ancora giovani le sue canzoni e la sua arte", scrive John Turturro nella prefazione che arricchisce l'autobiografia scritta da Carosone nel 2000 (un anno prima della sua morte) e oggi aggiornata dal giornalista Federico Vacalebre e ripubblicata nella ricorrenza del centenario dalla nascita dell'artista. "Non credo di sbagliarmi nel dire che Renato Carosone sia stato il primo rapper di tutti i tempi", azzarda l'attore italoamericano motivando la sua affermazione con l'esigenza di dire, di esprimersi, di raccontare il ritmo.
    Un viaggio nel "carosuono", nella storia dell'uomo che - più attratto dal malandato pianoforte che aveva in casa che non dalla scuola - nel dopoguerra del boom economico, della fiducia e delle speranze ritrovate, rinnovò la canzone napoletana, e quindi quella italiana, e prendendola per mano la portò in giro per il mondo. Pianista classico e jazzista, geniale innovatore, ha tracciato una linea tra il prima e il dopo Carosone, ispirando diverse generazioni di artisti. Come Edoardo Bennato che ha rivendicato il diritto di definirsi "tra i figli di Carosone".
    "In quel periodo - scriveva Carosone, spiegando la sua musica - le canzoni napoletane erano praticamente bandire dai locali: avevano rotto, scocciato, erano noiose, tristi non parlavano della vita di ogni giorno. Perfino a Napoli non le volevano più sentire, o forse eravamo noi, ammalati d'America, a non volerle più cantare e suonare. Così mi venne l'idea di riproporle con lo stesso ritmo swing dei capolavori di Cole Porter e George Gershwin. In questo modo, per esempio, oltre a Stardus e Night and Day potevo fare anche Me so' 'mbriacato 'e sole".
    La storia dell'americano di Napoli è sì la storia di un artista che ha lasciato il segno, ma ripercorrendo i suoi primi passi (il primo lavoro a 14 anni come pianista al teatrino dell'Opera dei Pupi per 4 lire a giornata), l'esperienza di nove anni in Africa tra Eritrea ed Etiopia mentre scoppiava anche la Prima Guerra Mondiale, il ritorno in una Napoli cambiata, i suoi successi prima nazionali, poi internazionali fino al ritiro inaspettato, al culmine del successo, nel 1959 con qualche apparizione qua e là negli anni a seguire, si ripercorre anche la storia di un'Italia dalle sue macerie alla rinascita. (ANSA).
   

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