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Appelfeld, nessun orrore come la Shoah

Per Giorno Memoria esce libro di un testimone vivente

Nessun orrore è "comparabile ai campi di sterminio". Aharon Appelfeld, tra gli ultimi grandi testimoni viventi della Shoah, lo ha mostrato nei suoi libri e lo ribadisce anche di fronte alle atrocità a cui assistiamo quotidianamente. "I campi di concentramento sono stati un omicidio organizzato, un assassinio industrializzato, un terribile veicolo per lo sterminio del popolo ebraico. Sono stati una colonia penale senza pietà. Naturalmente ciò che sta accadendo in Siria, in Sudan, in altri angoli dell'universo sono terribili orrori, ma non sono campi di concentramento.

E' incomparabile" dice all'ANSA lo scrittore del quale arriva in libreria per il Giorno della Memoria, 'Il partigiano Edmond' (pp 332, euro 19), pubblicato da Guanda nella traduzione di Elena Loewenthal. Deportato con il padre in un campo di concentramento in Transnistria dal quale è riuscito a fuggire, durante la seconda guerra mondiale, nascondendosi nella foresta ucraina, Appelfeld, 85 anni, dà voce a quell'esperienza raccontando le avventure di Edmond che a 17 anni scappa da un campo di sterminio e si unisce a una banda di partigiani ebrei capeggiati dal carismatico Kamil.

"Tutto quello che ho scritto è parte della mia esperienza. Durante la seconda guerra mondiale, ho passato due anni nella foresta. Avevo nove anni e sono stato rapito da una banda di criminali ucraini. Ho cambiato alcuni nomi e luoghi, ho spostato le cose nel tempo e nello spazio, ma tutto nasce dalla mia esperienza", spiega lo scrittore che invita a guardare anche all'importanza della solidarietà e per il quale la foresta è stata una scuola di vita. Per Edmond, liceale di buona famiglia, combattere con i partigiani di Kamil significa ritrovare uno scopo che renda la vita degna di essere vissuta.

Fra loro c'è il vicecomandante Felix, nonna Tsirel, la cuoca Tsila, il gigante Danzig che si occupa di un trovatello. Un gruppo che lotta contro il freddo e la miseria per fermare gli orrori dell'esercito tedesco, che si organizza per far deragliare i treni destinati ai lager. L'obiettivo è tornare a casa, il luogo "in cui siamo cresciuti e che abbiamo amato". "Ho imparato molto dalla vita nella foresta. Stavo con le persone e gli animali, circondato dagli alberi. I criminali erano duri, la natura è stata ostica ma i miei migliori amici sono stati gli animali, i cavalli e i cani.

Dagli animali ho imparato tranquillità e gesti d'amore. Ho mangiato e dormito con loro. Dai criminali ho imparato a conoscere la natura umana. Ne 'Il Partigiano Edmond' ho trasformato quello che ho vissuto in qualcosa di più morbido e in un'esperienza ebraica. Nel mio libro - racconta Appelfeld - le persone si aiutano a vicenda e si amano, si prendono cura di bambini e anziani. Nel mio libro, la foresta ha pietà". Ed è proprio questa grande umanità, questa capacità di tirar fuori il meglio dell'essere umano la cosa che Appelfeld riesce a trasmetterci pur raccontando l'orrore.

Ed è anche quello che lo scrittore - nato nel 1932 a Czernowitz, in Bucovina e autore di libri come 'Badenheim', 'Fiori nelle tenebre' e 'Oltre la disperazione', lascia in fondo come messaggio ai giovani. "Non sono un predicatore e non sono un moralista. Gli orrori che ci circondano sono terribili, ma in ognuno di noi c'è ancora un po' di misericordia e di amore. In ogni città ci sono ancora persone che si prendono cura degli anziani, dei malati, delle donne, dei bambini trascurati e degli animali. Di queste persone mi fido. Essi sono, se si vuole, gli angeli di Dio" sottolinea lo scrittore che dopo i tre anni passati nelle foreste, alla fine della guerra ha raggiunto l'Italia da dove si è imbarcato, nel 1946, per la Palestina. 

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