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A rischio carcere chi divulga notizie di origine illecita

A rischio carcere chi divulga notizie di origine illecita

Tra gli emendamenti al ddl cybersecurity la stretta sull'accesso alle banche dati

ROMA, 12 aprile 2024, 22:02

di Anna Laura Bussa

ANSACheck

giornalisti e operatori tv - RIPRODUZIONE RISERVATA

   Se il giornalista che diffama rischia fino a 4 anni e mezzo di carcere, anche per quello che viene a conoscenza di notizie "di provenienza illecita" e le divulga, gli anni di detenzione possono arrivare a 3 o a 4. E' questa la linea che emerge dagli emendamenti presentati al ddl sulla cybersicurezza ora all'esame delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali della Camera. Tra le 180 proposte di modifica depositate, le più severe sembrano senz'altro quelle del deputato di Azione Enrico Costa e della parlamentare di Italia Viva, Maria Elena Boschi. Proposte nelle quali si ravvisa di più l'eco di recenti fatti di cronaca e per le quali parte della maggioranza esprime condivisione.

    "Diritto di cronaca non significa immunità" spiega Costa che vorrebbe il carcere da 6 mesi a 3 anni per chiunque divulghi informazioni conoscendone la provenienza illecita. Ma il deputato ha messo a punto anche una norma 'anti-Striano'. Il riferimento è all'inchiesta in corso da parte della Procura di Perugia e dell'Antimafia sugli accessi alle banche dati da parte dell'ufficiale della Gdf Pasquale Striano con notizie che poi finivano su alcuni giornali. Si tratta di una stretta all' accesso di questi archivi informatici che sarà consentito solo a tecnici selezionati attraverso un complesso meccanismo che si basa anche su riconoscimento facciale o impronta digitale. E ogni singolo accesso dovrà essere annotato su un Registro, con tanto di motivazione allegata e una descrizione sintetica delle operazioni svolte. Tale registro è tenuto dal "titolare della banca dati" che lo deve aggiornare periodicamente e custodire, rendendolo disponibile per ispezioni o controlli, insieme all'elenco dei 'soggetti abilitati'. In più, si chiedono ispezioni ministeriali anche alle banche dati e lo spostamento del foro di competenza.

    Ma Costa, noto anche per essere il 'padre' della cosiddetta 'legge bavaglio', quella che impedisce di fatto la pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare fino all'udienza preliminare, chiede anche, con gli emendamenti, una limitazione all'uso del Trojan, un sistema di captazione informatico invasivo, spesso usato dalle forze dell'ordine per intercettare.

    Il deputato di Azione vorrebbe che venisse autorizzato solo da un giudice collegiale e non per i reati contro la Pubblica Amministrazione, ai quali era stato esteso dalla cosiddetta legge Spazzacorrotti voluta dall'allora Guardasigilli Alfonso Bonafede. E, sempre sul fronte delle intercettazioni, Costa, sopprimendo un articolo del ddl, vorrebbe evitare che anche per i reati di cybersicurezza bastassero solo "sufficienti indizi di reato" per intercettare, così come in caso di reati di mafia e terrorismo. Anche i cyber-reati, a suo avviso, dovrebbero rientrare tra quelli per i quali sono previsti requisiti più stringenti per dare il via agli ascolti. Più 'severo' l'emendamento presentato dalla deputata di IV Boschi sui procedimenti penali. Lei propone il carcere da 1 a 3 anni per chi accede abusivamente ad atti del processo penale. E vorrebbe introdurre nuovi articoli al codice penale per punire anche chi detiene e rivela gli atti acquisiti illecitamente. Chi detiene "documenti che contengono dati inerenti a conversazioni e a comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche, illegalmente formati o acquisiti o documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni".

Stessa pena si prevede per chi rivela, in tutto o in parte, questi atti attraverso "qualsiasi mezzo di informazione. Se il fatto poi è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, il carcere può arrivare fino a 5 anni. "Chi pubblica informazioni che sa essere state rubate attraverso fatti di reato" va punito, osserva Costa, "perché questo non è diritto di cronaca".
   

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