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Le nove vite dell'ultima principessa birmana

Libri

Le nove vite dell'ultima principessa birmana

Da Mandalay a Firenze, le rinascite di June Rose Yadana Bellamy

ROMA, 16 novembre 2021, 13:09

Redazione ANSA

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Le nove vite dell 'ultima principessa birmana - RIPRODUZIONE RISERVATA

Le nove vite dell 'ultima principessa birmana - RIPRODUZIONE RISERVATA
Le nove vite dell 'ultima principessa birmana - RIPRODUZIONE RISERVATA

JUNE ROSE YADANA BELLAMY, "LE MIE NOVE VITE" (ADD EDITORE, pp. 288 - 18,00 euro)

È stata l'ultima principessa birmana, fuggì in India mentre i giapponesi invadevano il suo Paese, sposò un medico italiano in missione per l'Oms e lo seguì nelle missioni in giro per il mondo, fu una campionessa di tennis, rinunciò a recitare al fianco di Gregory Peck, lavorò come commessa nella boutique fiorentina di Emilio Pucci e sposò il dittatore Ne Win, con l'ambizione poi sfumata di diventare la Evita Peron della Birmania. È una straordinaria catena di rocamboleschi incroci quella raccontata da June Rose Yadana Bellamy in "Le mie nove vite", l'autobiografia, scritta con il giornalista de La Stampa Francesco Moscatelli, in libreria per add editore.
    Una storia di rinascite, che si snoda da Mandalay a Napoli, fino a Firenze, dove la figlia di Herbert Bellamy, collezionista di orchidee australiano, e dalla Principessa Linbin Thiktin Ma Lat, discendente diretta della famiglia reale birmana, è morta a 88 anni all'inizio dello scorso dicembre, poche settimane dopo le elezioni vinte dal partito di Aung San Suu Kyi (verso la quale è sempre stata molto critica) e un mese prima del golpe che ha fatto risprofondare nel caos il Paese del Sudest asiatico.
    Per 288 pagine June Rose Yadana Bellamy si racconta senza filtri, senza maschere, fra clamorosi cambi di scenari, in cui si trova protagonista con la sua personalità ammaliante e la bellezza che non passa mai inosservata, come testimonia anche l'inserto fotografico nel libro: dalla giungla dove da neomamma si avventura per liberare il primo marito, Mariano Postiglione, rapito dai ribelli comunisti, allo studio del pittore Lazzaro Donati, dove scopre un nuovo amore e la vocazione dell'arte che la porta a creare i suoi June's Birds, gli uccelli con le ali rovesciate. Non le mancava il talento nemmeno ai fornelli. Dava lezioni di cucina fusion, e fra le sue raccomandazioni agli allievi c'era anche il suo manifesto filosofico: "La base della vita è un coltello che taglia. Se hai un coltello spuntato non cucinare, vai a fare altro".
   

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