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Intervista all'ANSA del primario assolto

Intervista all'ANSA del primario assolto

'Resto angustiato. Capisco la famiglia, 4 perizie non hanno detto causa morte'

ROMA, 31 ottobre 2014, 19:18

di Silvana Logozzo

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'Non sono contento e non sono arrabbiato. Resto angustiato, è stata una vicenda distruttiva e nella vita non si torna indietro'. Aldo Fierro, primario di Medicina 1 dell'ospedale romano Sandro Pertini, dove è morto Stefano Cucchi, pochi minuti dopo l'assoluzione conserva nella voce l'angoscia degli ultimi cinque anni. Passati a difendersi dall'accusa infamante di avere 'ammazzato un ragazzo', per negligenza, incuria, irresponsabilità. Fierro nel processo di primo grado era stato condannato per omicidio colposo insieme con gli altri medici imputati. Oggi i giudici della Corte d'Appello hanno assolto tutti.

'Ho scelto di fare il medico per aiutare gli altri e sono 40 anni che esercito il dono che ho - dice all'ANSA - sono stato io a fondare la struttura di medicina penitenziaria perché credevo nell'importanza di sostenere i più bisognosi, e ci credo ancora. Essere accusati e additati come i Mengele del Pertini è stato drammatico'.

E racconta: 'Venni a sapere di Stefano Cucchi la sera prima che morisse. Una dottoressa mi disse che faceva resistenza a prendere le medicine. Mi spiegò che i parametri vitali erano buoni e non c'era nessuna patologia che facesse pensare a un pericolo di vita. Non ho mai visto Stefano Cucchi'.

Il medico sottolinea che a tutt'oggi non si conoscono le cause del decesso: 'Ci sono state quattro perizie, di cui due disposte dai giudici di primo e secondo grado, ma ognuna è arrivata a conclusioni differenti. La causa della morte non si conosce, come si poteva condannare?'.

Fierro risponde anche sulle foto, quelle immagini terribili del corpo di Stefano che hanno suscitato orrore e raccapriccio. 'Comprendo la famiglia, mi metto nei loro panni, vogliono sapere la verità. Ma quelle foto sono state scattate dopo l'autopsia, quelle macchie sono compatibili con la morte. Nessuno ha fotografato il ragazzo mentre era ricoverato in regime di detenzione, i parenti non l'avevano visto prima che morisse perché serviva il permesso del giudice'.

Il primario ricorda che in cinque anni ha assistito 2.500 detenuti, è stato il responsabile sanitario del carcere di Rebibbia: 'Ho scelto io di curare i carcerati, è stata una mia libera scelta, per stare vicino ai meno abbienti. Ho saputo dell'accusa un giorno in cui stavo andando al cimitero dove è sepolta mia madre. Questa vicenda ha inciso sulla mia vita in modo profondo e definitivo'.

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