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Rossellini, noi e la vita all'ombra del mito

Rossellini, noi e la vita all'ombra del mito

Il film sul clan, studio la rossellinite e ansia da prestazione

VENEZIA, 10 settembre 2020, 17:27

Redazione ANSA

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Se sul telefonino una delle tue chat si intitola I Rossellini e tuo nonno era Roberto Rossellini, il regista di Roma città aperta, e tra i tuoi parenti c'era Ingrid Bergman ad esempio o Anna Magnani diventata col tempo amica di famiglia, è fatta, "dalla rossellinite non guarisci". A questa famiglia più che allargata - tre mogli e rispettivi figli - è dedicato un ritratto affettuoso, ironico, sarcastico, amaro, assolutamente divertente che Alessandro Rossellini, "il mezzosangue" come lui stesso si definisce, figlio del secondogenito Renzo Rossellini (la mamma è Marcella de Marchis, la prima moglie del regista) e dell'afroamericana Katharine Brown, ha realizzato andando ad intervistare tutti gli zii e parenti in giro per il mondo, "gli United Colors of Rossellini", sparsi tra la Svezia, l'Italia, gli Stati Uniti, l'India. Il film 'The Rossellinis', evento speciale di chiusura della 35/a Settimana della Critica, prodotto da B&B Film, coprodotto da VFS Films con Rai Cinema in associazione con Istituto Luce Cinecittà, uscirà al cinema il 26-27- 28 ottobre distribuito da Nexo Digital.
    L'opera è più che un documentario, pieno di immagini d'epoca, filmini rari, interviste recentissime, "è una gigantesca seduta psicanalitica durante la quale ho cercato di curare quella sindrome speciale - dice all'ANSA Alessandro Rossellini, 57 anni - che io chiamo rossellinite e che anche se non lo ammettono, ci ha contagiati tutti, un virus misterioso. Significa crescere all'ombra di quello che è un mito del cinema ma che in famiglia non era facile affatto".
    Alessandro Rossellini non nasconde il suo passato di tossicodipendenza e proprio il recupero dalla droga è alla base del suo lavoro "che amo moltissimo" - in una comunità nelle Marche ndr - e spiega che far vedere con franchezza il mondo dei Rossellini "a costo di tirare giù il mito dall'altare" era una cosa che in un certo senso poteva liberarlo "di un fardello pesante come il nostro cognome".
   

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