Trieste, una città lacerata dai
conflitti e dalle travagliate vicende del confine orientale nel
Novecento, è un posto unico, che si riconosce in codici
specifici, a partire dal dialetto, linguaggio usato
universalmente da ogni strato sociale, e tradizioni che assumono
quasi il ruolo di rituali civili, che servono per comunicare
un'identità fortissima, uno scudo che si è formato dopo un lungo
periodo segnato da un senso di continua minaccia di invasione.
Sono alcune delle riflessioni che sono emerse nel corso della
presentazione del libro di Francesco De Filippo 'Trieste è
un'isola' avvenuta nell'ufficio della Regione Friuli Venezia
Giulia a Bruxelles, in cui l'autore ha dialogato con Marianna
Accerboni, curatrice della mostra "L'arte triestina al femminile
nel '900", visitabile all'Istituto italiano di Cultura di
Bruxelles fino al 31 luglio prossimo.
Una città, o meglio, un'isola da scoprire, svelare lentamente
con l'oculatezza dedicata a un oggetto antico e prezioso.
Un'isola bifronte: da un lato visceralmente attaccata al
passato, dall'altro proiettata nel futuro con una imprenditoria
illuminata e un numero altissimo di enti di ricerca scientifica,
all'avanguardia.
"Ho scelto lo stile poliziesco perché mi ha permesso di
accompagnare il lettore nella scoperta non solo della trama del
libro ma anche della città stessa", ha spiegato De Filippo.
Trama che porta il lettore tra Trieste, Napoli - la città
d'origine dello scrittore e del suo personaggio principale,
Vincenzo Tagliente, di cui si leggono "le prime e involontarie
indagini" - e gli Stati Uniti d'America.
Ma tutto parte dal campo profughi di Padriciano, a pochi
chilometri dal centro del capoluogo giuliano, dove migliaia di
esuli istriano-dalmati sono transitati. Il libro racconta come
la catena di violenze e ingiustizie operate dai regimi
totalitari si sono ripercosse sulla gente comune.
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