(di Francesco De Filippo)
Resistette solo nove mesi, dal 2
ottobre 1907 al 14 luglio 1908: alle Assicurazioni Generali
doveva lavorare a tempo pieno, 8/9 ore al giorno, troppo per lui
che invece aveva bisogno di concentrazione per poi lasciarsi
andare alla scrittura. Così si licenziò, adducendo problemi di
salute. Oggi, in occasione dei cento anni dalla morte, avvenuta
il 3 giugno 1924, Generali ricorda uno dei suoi impiegati più
illustri, Franz Kafka.
Eppure il futuro scrittore aveva anelato quell'impiego:
com'era d'uso in quegli anni, aveva raccolto un bel po' di
referenze internazionali per candidarsi all'ufficio di Praga del
Gruppo dove lavoravano più di cento persone, prima fra tutte
quella dello zio materno, Alfred Loewy, direttore delle ferrovie
spagnole. Si sarebbe licenziato e sarebbe stato assunto in
un'altra compagnia, forse con un ruolo diverso che l'impiegato
ausiliario del ramo vita, e probabilmente guadagnava meno delle
80 korone mensili che gli versava Generali, ma lavorava anche un
numero di ore inferiori. Peccato: quel Kafka, magro, laureato in
Giurisprudenza, che parlava tedesco, "boemo", francese e
inglese, alto 1,81 centimetri per 61 chilogrammi, così
scrupoloso nelle relazioni ai superiori, avrebbe potuto
diventare un buon manager.
D'altronde la sua pulsione creativa, quella vorace necessità
di scrivere, non si sarebbe condensata nella fama internazionale
che si creerà intorno al suo nome: soltanto dopo la sua morte il
nome di Kafka assurgerà progressivamente a quello di uno degli
scrittori più importanti del Novecento. Il suo amico Max Brod,
quasi esclusivo depositario delle principali opere del praghese,
non ottemperò alle sua volontà e non distrusse le opere che
aveva scritto come, appunto, gli era stato chiesto di fare una
volta che Franz fosse morto. Minato dalla tubercolosi, Kafka
sapeva di non avere davanti a se una lunga vita, morirà infatti
a 41 anni. Dunque, postumi furono pubblicati Amerika (America),
la metà dei racconti, i tre grandi romanzi Der Prozess (Il
processo), Das Schloss (Il castello) e altri documenti.
Allucinante e allucinato, Kafka è stato un autore che
lucidamente, con inquietante realismo ha saputo raccontare
esperienze, eventi assurdi, fatti inauditi. Una descrizione che
è solo analisi dell'angoscia, della tragedia. È in questa
dimensione che Kafka, a sua volta tragico, minuzioso e
soprattutto solitario a dispetto delle numerose avvenuture
sentimentali, si tormentò. La sua opera fu strettamente legata
alla sua città, "città degli strambi e dei visionari", come
ricorda Treccani.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA