Nella bufera per lo special del
comico Dave Chappelle accusato di essere anti-trans e una
minaccia di sciopero virtuale e picchetti al quartier generale
su Sunset Boulevard, Netflix ha fatto mea culpa: il co-ceo del
colosso dello streaming Ted Sarandos ha ammesso di "aver
sbagliato" nei suoi sforzi di comunicare con lo staff il perché
ha deciso di mantenere nel palinsesto lo show di Chappelle "The
Closer" nonostante molti, dentro e fuori Netflix, avessero
trovato da ridire su alcune battute offensive verso la comunità
Lbgqt.
Scrivendo ai dipendenti preoccupati per le conseguenze delle
battute del comico, Sarandos aveva difeso "The Closer" citandone
la popolarità tra il pubblico e l'impegno di Netflix a difendere
la libertà creativa degli artisti, in particolare dei comici, la
cui arma della satira, se non è affilata, non morde. L'executive
aveva anche espresso dubbi sul fatto che "contenuti discutibili
sullo schermo si possano tradurre in comportamenti negativi o
nocivi nel mondo reale": tesi subito contraddetta dagli
attivisti della Human Rights Campaign che ha citato i 44 trans
assassinati nel corso del 2020, un record da quando
l'organizzazione ha cominciato a tenere il conto nel 2013.
Nello show Chappelle aveva affermato che "il genere è un
fatto", paragonato la comunità dei trans ai bianchi che per far
ridere si dipingevano la faccia di nero (era popolare a partire
dalla guerra civile) e aveva aggiunto di identificarsi come un
"Terf", l'acronimo di "trans-exclusionary radical feminist", un
gruppo che sostiene che il genere è assegnato alla nascita e non
può essere cambiato.
"Da capo dell'azienda avrei dovuto cogliere la necessità di
guidare con umanità. Avrei dovuto riconoscere che un gruppo dei
nostri dipendenti era stato veramente male per le battute di
Chappelle", ha detto adesso Sarandos al 'Wall Street Journal'
aggiungendo che non prevede di rimuovere lo special dalla
programmazione.
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