"La giornata contro la violenza sulle donne è una grande occasione per parlare della situazione attuale delle donne in Iran". A sostenerlo è Hasti Diyè, 39 anni, ballerina, insegnante, attivista, costretta per lunghi periodi a vivere all'estero e solo recentemente rientrata a Teheran.
"La polizia morale, dopo le proteste per la morte di Mahsa Amini e la repressione che ne era seguita, in cui oltre 20mila persone sono state arrestate e 500 uccise, sembrava aver abbandonato le strade. Invece purtroppo al mio arrivo, in questi giorni - racconta Hasti - ho potuto vedere che è tornata nelle città, per le strade, nelle metro. Non solo: il governo ha annunciato che gli islamisti possono fare quello che vogliono per spingere le donne a rispettare l'obbligo del velo e questo provoca continue violenze contro le donne senza velo, anche da parte di persone che non fanno parte della polizia morale.
Da un lato, quindi, vediamo donne coraggiose che appaiono in città senza hijab e vengono private di molti diritti civili, rischiano violenze, l'arresto, la morte; dall'altro, donne e uomini che, a nome degli affiliati del Sepah, hanno riconosciuto il diritto di commettere apertamente violenza contro le donne, anche se non sono la polizia morale".
Hasti ricorda Armita Geravand, la studentessa curda con cittadinanza iraniana che il 1 ottobre scorso è entrata in coma nella metropolitana di Teheran dopo essere stata aggredita per non aver indossato il velo islamico. "E' stata colpita alla testa nella metropolitana di Teheran da uno dei seguaci dell'ideologia del governo islamico - dice - e poi è stata trasferita nell' ospedale Fajr, sotto la stretta sorveglianza dell'esercito del governo iraniano. E come sempre hanno ripetuto quello che dicono per tutte le vittime: la ragazza ha avuto un calo di pressione nella metropolitana senza motivo apparente, è caduta, ha sbattuto la testa a terra ed è entrata in coma". E' solo di ieri la notizia che l'Iran ha giustiziato un uomo dopo averlo riconosciuto colpevole dell'omicidio di un membro delle forze di sicurezza durante le proteste di massa che hanno spazzato il Paese lo scorso anno a seguito della morte di Mahsa Amini. E' l'ottava esecuzione eseguita dall'Iran nell'ambito della repressione delle proteste scoppiate nel settembre 2022.
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