(ANSA) - NAPOLI, 29 OTT - Con quel suo vocione reso rauco da migliaia di 'Gala', era il terrore di allenatori e giocatori che se la davano a gambe pur di sfuggire alle sue celebri sfuriate. Perche' Antonio Sibilia, storico patron dell'Avellino morto oggi nella sua casa di Mercogliano a un passo dalle 94 primavere, era quel che si suol dire un padre padrone, ma soprattutto un malato di calcio, pazzo per il suo Avellino che considerava alla stregua di un figlio da crescere con le buone e con le cattive. Una passione mai tradita, quella per 'i lupi', nata negli anni '50 quando subentro' in società al fratello morto in un incidente stradale. Da allora, tra vari intervalli e ricoprendo diverse cariche, ha segnato la storia del sodalizio irpino per circa mezzo secolo legando il suo nome alla storica promozione in serie B del '73 e ai fasti della serie A negli anni '80, anni in cui l'Avellino si guadagno' il titolo di 'ammazzagrandi'. Burbero dal cuore d'oro, vulcanico e istrione, self-made man: su di lui le frasi fatte si sono sprecate. Tanti i protagonisti del calcio targato anni '80 che gli devono le proprie fortune: dal brasiliano Juary, che ballava la samba attorno alla bandierina del calcio d'angolo, allo zoccolo duro della Juventus campione del mondo, il portiere Tacconi, lo stopper Favero e il vice Platini Beniamino Vignola, tutti svezzati dal commendatore di Mercogliano; senza dimenticare Andrea Carnevale e Nando De Napoli, dall'Avellino alla Nazionale passando per il Napoli di Maradona. Con lui sono approdati al calcio che conta anche dirigenti e allenatori come Pierpaolo Marino e Ottavio Bianchi. Con Antonio Sibilia non muore solo l'artefice del miracolo Avellino, ma l'ultimo esponente di un calcio che non c'e' piu': quello delle maglie da 1 a 11, delle formazioni snocciolate come filastrocche, dei presidenti sanguigni e un po' folkloristici: Rozzi, Anconetani, Massimino, Lugaresi, fenomeni di provincia in un calcio romantico. Sibilia apparteneva a quella razza di dirigenti formatisi sui campi di provincia: la sua abilità era scovare giovani talenti nelle serie minori, o dimenticati dalle grandi squadre, per poi rivenderli a peso d'oro. Con i suoi calciatori 'il Commenda' alternava il bastone alla carota, cosi' come faceva con gli operai della sua impresa di costruzioni messa su partendo dal recupero di un carro lasciato dagli americani nel Dopoguerra. Tanti gli aneddoti a lui attribuiti, sospesi tra verità e leggenda. Dallo schiaffo a Vignola, alla carta d'identità di capitan Lombardi fatta sparire prima dell'esordio in campionato per non farlo giocare, agli ingaggi trattati di persona con i giocatori perche' lui con i procuratori non trattava. Non amava i capelloni e gli orecchini: all'argentino Ricatti, chioma alla Batistuta, pose un ultimatum: ''O ti tagli i capelli o non ti prendo''. Non lo prese. Nel 1983 dovette lasciare la guida della società dopo essere stato arrestato all'Hotel Gallia di Milano con l'accusa di essere vicino alla camorra di Cutolo: un'accusa dalla quale è stato assolto nel 1990 per non aver commesso il fatto. Sibilia era tornato in sella negli anni '90 riconquistando subito la B prima di lasciare definitivamente al termine della stagione 99-2000 con la squadra in C. Nel 2010 festeggio' i suoi 90 anni con 45' di fuochi pirotecnici: ''Cosi' - disse - sono certo che tutti sanno che sono ancora vivo''. Da alcuni mesi aveva ridotto le sue apparizioni pubbliche e non giocava più a carte nella 'Tana del Lupo', il suo rifugio. La morte lo ha colto stamane, poco dopo le 8, alla vigilia dei 94 anni che avrebbe compiuto martedi'. Dicono che anche nelle ultime ore fosse combattivo e innamorato del suo primo grande amore: l'Avellino. (ANSA).