"Il processo svoltosi con rito abbreviato ha consentito di dimostrare quanto descritto in imputazione, cioè che la plurisoggettività organizzata (ancorché a ristretta base sociale) di satelliti 'ndranghetisti traslati in territorio valdostano (anche da più di una generazione) ha ivi replicato (dal 2014) un modello mafioso che si avvale dell'assoggettamento omertoso per controllare un determinato territorio e le attività (lecite o illecite) che in quel territorio hanno luogo". Lo scrive la seconda sezione penale della Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui, il 20 aprile scorso, ha confermato per nove degli 11 imputati la sentenza d'appello con rito abbreviato del processo Geenna, sancendo l'esistenza di una locale di 'ndrangheta in Valle d'Aosta.
Le pronunce di primo e secondo grado hanno dato conto, scrive la Cassazione, "delle relazioni concrete, di carattere autorizzatorio-gerarchico tra esponenti di vertice della casa madre calabrese, di San Luca ed i soggetti (Bruno Nirta e Marco Fabrizio Di Donato) protesi a colonizzare il territorio vergine subalpino; la sentenza impugnata ha, in conformità a quella di primo grado, riscostruito l'attività di Bruno Nirta, dei fratelli Di Donato (Marco Fabrizio e Roberto Alex) e" di Francesco "Mammoliti, tesa ad assicurare l'operatività della propria espressione 'locale' radicata nella 'ndrangheta calabrese". Un "potere intimidatorio" che è stato "mutuato dalla associazione mafiosa di riferimento, nel caso di specie la 'ndrangheta, e concretamente attuato anche nella gestione di attività commerciali lecite" e "perfino nella distribuzione delle aree di sosta valdostane ai mercanti provenienti dal sud carichi di prodotti autoctoni da commercializzare a latitudini più elevate".
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