"Lo strapazzavo come fosse mio figlio quando esagerava. Il rapporto era molto diretto, alla pari. Quando pensavo a tutto quello che aveva passato non potevo fare altro che trattarlo da adulto, da uomo sopravvissuto a cose cui io probabilmente non sarei sopravvissuta. E poi era una persona con una capacità di adattamento, osservazione e sensibilità eccezionali". Lo racconta una donna trentina, 50 anni, che con il marito, coetaneo, e i due figli di 22 e 24 anni ha ospitato da gennaio un giovane profugo senegalese, morto nei giorni scorsi in seguito a una grave malattia e rimasto fino all'ultimo nella sua nuova famiglia.
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