Le vittime della Shoah non sono
solo i morti nelle camere a gas: c'è una generazione, la prima
del dopo-Apocalisse che vive tra la memoria e quel dopo in cui
ci si chiede cosa sia il passato, cosa resta delle vite e delle
morti di chi ci ha preceduto. Wlodek Goldkorn, prima
corrispondente dall'estero e poi a lungo capo della cultura
dell'Espresso, fiorentino di adozione, è anche un ebreo, polacco
e comunista, cresciuto nel dopoguerra in una patria che l'ha poi
rinnegato. Da queste radici nasce "Il bambino nella neve"
(Feltrinelli, 208 pagine, 16 euro).
Goldkorn ha intervistato artisti, scrittori, premi Nobel e
raccontato molte storie, ma mai finora la sua personale. Quella
di un bambino nato da genitori scampati agli orrori della
guerra, che abitava in una casa abbandonata dai tedeschi in
fuga, ancora piena di piatti e mobili provvisti di svastica, che
crebbe nel vuoto di una memoria familiare impossibile da
raccontare e impossibile da dimenticare.
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