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Alfredino, trent'anni fa

Alfredino, trent'anni fa

Scivolato in un pozzo artesiano e morto dopo tre giorni

20 maggio 2015, 16:54

Redazione ANSA

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ROMA - Palazzi, villette e un monumento oggi coprono il terreno che intrappolava l'eco delle urla di un bambino di sei anni. Era la voce di Alfredino Rampi: trent'anni fa scivolò in un pozzo artesiano a Vermicino, vicino Roma, nel quale rimase sepolto vivo. In quei tre giorni di giugno del 1981, a sperare assieme a migliaia di persone c'era anche Sandro Pertini in lacrime al fianco di Franca Rampi. Era la prima volta del dolore in diretta. "Spero che la vicenda di mio figlio possa almeno servire ad aiutare altre vite", ha spiegato Franca. Il suo dolore è presto diventato dignità, per poi trasformarsi in coraggio e impegno. "Se non ci fosse stato il Centro Rampi sarei impazzita. Invece adesso ho la forza di andare avanti, affinché non si ripetano più tragedie del genere".

Dal 1981, nel centro Alfredino Rampi circa 240mila bambini e ragazzi partecipano ad incontri con i professionisti della sicurezza, come vigili del fuoco, volontari della protezione civile, speleologi e poliziotti. L'obiettivo è creare un villaggio della sicurezza dove simulare situazioni pericolose", spiega il vice presidente dell'associazione, Daniele Biondo. Allora, invece, c'era inesperienza e improvvisazione. Il coraggio e la tenacia non bastarono e i tg mandarono in onda la lunga diretta della sconfitta. Ma quella trappola era una sorta di buco nero dal quale anche l'Italia stessa forse non è più uscita: da Cogne ad Avetrana, il primo "Grande Fratello" ha esordito sbirciando tra il fango, le lacrime e i venditori ambulanti di bibite che sfamavano fiumi di gente giunta sul posto. In tv i sequestri delle brigate rosse, le rivelazioni sulla P2 e i dettagli sull'attentato a papa Wojtyla lasciavano spazio ai primi piani delle lacrime di Franca che parlava ad Alfredino sull'orlo del pozzo: un capezzale profondo 64 metri. Maurizio Bonardo, l'allora caposquadra della centrale di Roma dei vigili del fuoco, non si dà pace per "la promessa non mantenuta".

"L'immagine della sagoma di Alfredino ricoperta dal fango non la dimenticherò mai - dice - Al padre, Nando, ripetevo stai tranquillo, riporterò su tuo figlio. Purtroppo non è stato così. Il momento più brutto è stato quando abbiamo dovuto lasciare quel posto. Se fosse successo oggi - ripete - invece, con le nuove tecnologie avremmo potuto agire più rapidamente". Molti dei soccorritori in prima linea, come Tullio Bernabei, capo speleologo dei soccorsi che allora aveva solo 22 anni, ricordano ancora quella sensazione di impotenza, che ha prodotto "senso di colpa", un rimpianto che scava una "ferita non rimarginabile". "E' mancata la riflessione tra tecnici. Forse si poteva contare di più su di noi - spiega Bernabei - Per me questa vicenda è come un tabù". In quel pozzo neppure i "supereroi" hanno vinto.

Angelo Licheri, fattorino di una tipografia, ribattezzato l' 'Uomo Ragno', dopo essersi proposto per i soccorsi, era riuscito a resistere 45 minuti in quelle viscere appeso a una corda e a testa in giù. Ha parlato ad Alfredino raccontandogli favole, mentre nel frattempo gli toglieva il fango dagli occhi e dalle labbra. L'ultimo momento di umanità. Quando Licheri è risalito era solo e in pessime condizioni. "Lo afferravo e scivolava via, non potevo fare nulla", racconta Licheri, che oggi a 67 anni è su una sedia a rotelle. Pompieri, speleologi, eroi improvvisati, un fattorino esile e coraggioso chiamato 'Uomo ragno', contorsionisti e nani pronti a calarsi in una 'cannuccia' larga 30 centimetri per salvare il protagonista invisibile. A tratti sembravano i personaggi di una favola tv dall'imminente lieto fine dove, prima di tornare sconfitti davanti alle telecamere, gli attori del reality si facevano inghiottire da quel cunicolo che poi ha rigettato tutti. Tutti tranne Alfredino. Perché a volte in tv non c'é confine tra fiaba e incubo.

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