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Giorgiana Masi, Tano D'Amico: con foto smentii Cossiga

Giorgiana Masi, Tano D'Amico: con foto smentii Cossiga

Autore scatto poliziotto in borghese con pistola, agì lo Stato

ROMA, 11 maggio 2017, 18:42

Redazione ANSA

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Il carro funebre con la bara di Giorgiana Masi © ANSA/ANSA/OLDPIX

Il carro funebre con la bara di Giorgiana Masi © ANSA/ANSA/OLDPIX
Il carro funebre con la bara di Giorgiana Masi © ANSA/ANSA/OLDPIX

Un uomo in jeans e maglietta, leggermente piegato in avanti come se stesse correndo, la borsa di Tolfa a tracolla e la pistola in mano. Quella del poliziotto in borghese Giovanni Santone fu la scatto che rivelò le bugie di Cossiga al Parlamento e all'Italia, ma non bastò ad arrivare alla verità su quel 12 maggio del 1977: "andai a letto convinto che Cossiga si sarebbe dimesso la mattina dopo. Invece sono io che sono stato dimesso da tutto, perché avevo rotto le scatole". Sono passati 40 anni da allora e Tano D'Amico continua ancora a girare tra la gente con la sua macchina fotografica. Il giorno in cui morì Giorgiana Masi arrivò in centro molto presto. Roma era blindata. Il divieto di manifestare durava da mesi. "Ero angosciato - racconta - si capiva che sarebbe stata una giornata difficile. Vado a piazza Navona, dove era in programma l'iniziativa dei Radicali, e capisco subito il clima.

Picchiavano anche i parlamentari". Ma è a poca distanza, tra corso Vittorio e piazza della Cancelleria, che ci sono gli scontri più violenti. Gli agenti sparano lacrimogeni ad altezza uomo. E sparano con le armi d'ordinanza, come documenta un video che da quarant'anni attende una risposta. Tano è lì, l'agente Santone neanche lo guarda quando lui scatta.

"Ma la fortuna di quella foto - dice Tano sorridendo - non è quel che si vede: un'agente in borghese con la pistola era normale per quei tempi, tanto che non l'avevo neanche stampata. La cosa che fece la fortuna di quella foto, fu che Cossiga disse che non c'erano in piazza agenti in borghese". Quando sentì le parole dell'allora ministro dell'Interno, Tano sobbalzò. Avvisò i Radicali che aveva quello scatto e loro lo "fecero stampare e ne fecero 40mila poster con cui tappezzarono l'Italia". E fece il giro dei giornali, che pubblicarono la foto e scrissero contro il ministro. Ma Cossiga rimase al suo posto. Tano diventa serio. "Non ho mai subito minacce dirette, ma nell'80 mi hanno tolto il lasciapassare stampa. In quel periodo inoltre, due colleghi che frequentavano la questura e di cui non farò mai il nome, vennero da me. Senza mai guardarmi negli occhi mi dissero: 'parlavano di te, li abbiamo sentiti, dicono che te la faranno pagare. Ero terrorizzato, dissi solo 'che posso fare'. Rispose uno di loro, non dimenticherò mai quelle parole.

"Non imboccare mai una strada se non vedi altri passanti". Ma non tutti i poliziotti erano contro di lui. Il fotografo racconta che diversi agenti andarono da lui. "Mi dissero che Giorgiana era una 'donna' e i poliziotti che io avevo fotografato erano 'uomini'. Mi hanno voluto chiaramente dire che Giorgiana è stata uccisa in quanto donna, per non correre il rischio di uccidere un loro collega".

Un giorno, tanti anni dopo quel 1977, D'Amico ebbe l'occasione di parlare direttamente con Cossiga. "Gli chiesi perché fece picchiare le donne che il giorno dopo l'omicidio di Giorgiana erano andate su ponte Garibaldi a piangere. E gli chiesi perché aveva mentito all'Italia e al parlamento. Lui - ricorda Tano - rimase un attimo in silenzio, poi rispose. 'E' vero', mi disse. E aggiunse che prima di mentire aveva parlato con una serie di persone di cui fece i nomi. Erano i padri della patria dell'epoca. Quel giorno ha agito per lo Stato, servivano dei morti, ne volevano tanti, ne hanno fatti pochi".

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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