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Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze politiche e della Società civile

Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni, delle Forze politiche e della Società civile

Palazzo del Quirinale, 21-12-2015

21 dicembre 2015, 18:07

Redazione ANSA

ANSACheck

Sergio Mattarella - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sergio Mattarella - RIPRODUZIONE RISERVATA
Sergio Mattarella - RIPRODUZIONE RISERVATA

Caro Presidente Giorgio Napolitano,
Presidenti degli organi costituzionali,
Signore e Signori,

Ringrazio vivamente il presidente Piero Grasso per le parole cordiali che ha voluto rivolgermi e per le interessanti considerazioni da lui svolte, a conclusione di un anno davvero impegnativo per il nostro Paese, e per l’Europa di cui siamo cittadini.

Viviamo un tempo di straordinarie potenzialità, neppure immaginabili soltanto qualche decennio addietro, ma abbiamo ben presenti anche le minacce alla convivenza pacifica e alle libertà.

La violenza terroristica ha fatto ingresso nei nostri luoghi e nella nostra vita: dobbiamo sconfiggerla, con le armi della civiltà che abbiamo costruito. Vincere l’estremismo vuol dire anzitutto non farci snaturare. La necessaria azione di contrasto, volta a garantire la sicurezza, sarà più forte se accompagnata dalla testimonianza di valori, di principi, di diritti umani universali.

Questa emergenza non deve farci dimenticare altre ragioni di preoccupazione. Anzitutto gli squilibri e le iniquità che provocano ferite nel nostro corpo sociale. Le istituzioni – tutte – sono chiamate a uno sforzo di comprensione, di innovazione, di trasparenza, di costante rigenerazione del tessuto democratico.
La Repubblica è doverosamente impegnata ad attuare i principi e le finalità della Costituzione, e a rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pieno sviluppo della persona e delle formazioni sociali. A questo scopo, ai poteri e alle istituzioni dello Stato si chiede non soltanto di svolgere con impegno il proprio servizio, ma anche di collaborare lealmente per il bene comune.
La nostra democrazia è connotata dal pluralismo istituzionale e dal mutuo bilanciamento dei poteri. Ciascun potere opera in coordinamento con gli altri, dei quali è chiamato a riconoscere responsabilità e funzioni.

L’ordinato svolgimento della vita istituzionale rafforza il senso dello Stato e accresce la fiducia dei cittadini, i quali per primi si attendono, con ragione, che anche le varie articolazioni della Repubblica esprimano coesione. E’ confortante constatare come questa collaborazione sia abitualmente praticata. Talvolta si registra invece competizione, sovrapposizione di ruoli, se non addirittura conflitto, e questo genera sfiducia, oltre a indebolire la società nel dispiegarsi delle sue potenzialità e a disorientarla riguardo al concreto esercizio dei diritti.
La dialettica proficua tra poteri si esprime in confronto collaborativo. Gli ambiti di spettanza dei diversi poteri non sono fortilizi da contrapporre gli uni agli altri e di cui cercare di erodere i confini, sottraendo spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione.
Il rispetto delle competenze altrui costituisce la migliore garanzia per la tutela delle proprie attribuzioni.

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Troppo spesso si identifica lo Stato soltanto con i suoi apparati. E anche questo può accentuare la percezione di uno scollamento tra poteri pubblici e cittadini. Dell’architettura repubblicana, invece, fa parte a pieno titolo la società che liberamente si organizza, esprimendo valori, interessi, promuovendo iniziative, costruendo cittadinanza.
Dobbiamo affermare la dimensione dello Stato come comunità di persone. Non per chiuderci in autosufficienze anacronistiche ma, al contrario, anche per affrontare con maturità la prova costituita dall’Europa e dal suo ineludibile processo di integrazione.

L’Italia è oggi ben rappresentata quando esprime i suoi talenti e le capacità che si affermano nella ricerca scientifica, nella produzione di qualità, nell’arte e nella cultura, nell’innovazione industriale, nella competizione sui mercati globali. Abbiamo conquistato stima e credito con il successo dell’Expo di Milano, che ha mostrato l’efficacia dell’integrazione tra istituzioni e società, attraverso associazioni, forze dell’economia, della cultura e della ricerca. E’ stato un obiettivo che ha unito le energie del Paese e che ha visto convergere governi e forze politiche di segno diverso.
Non si tratta di temere la necessaria competizione politica o la dialettica degli interessi sociali. Le differenze e la libertà del confronto sono ovviamente irrinunciabili. Ci sono nondimeno interessi comuni da tutelare e beni di tutti da valorizzare, pur nel confronto di idee e proposte. Agli attori politici, economici e sociali, oltre che alle istituzioni, sono richiesti uno sguardo lungo, una visione e comportamenti che non siano ristretti alle convenienze del giorno per giorno. Dalla solidità e dalla continuità della vita istituzionale il Paese trae grandi benefici e vede accrescere il proprio ruolo.

Un’Italia più forte rafforza l’Unione europea. Senza il contributo della nostra vitalità, creatività, capacità di proposta, non c’è Europa. Il futuro stesso del nostro Paese, d’altra parte, è legato alle iniziative che sapremo assumere e alla credibilità e all’autorevolezza che riusciremo ad affermare nell’Unione, affinché essa possa adottare politiche orientate allo sviluppo, agli investimenti strategici, al lavoro.
Le nuove sfide epocali - mi riferisco alla sicurezza, al contrasto del terrorismo, alle migrazioni, all’ambiente - richiedono di sviluppare, a partire da una posizione europea ed euro-atlantica, una sempre maggiore collaborazione nella comunità internazionale. Abbiamo tutti la responsabilità di far maturare nelle giovani generazioni quel comune sentire, quel demoseuropeo, che ha già messo radici, nonostante errori delle classi dirigenti europee, nonostante nuovi egoismi e vecchie tentazioni nazionalistiche che riaffiorano nelle difficoltà.
La portata delle migrazioni, in particolare, crea comprensibili preoccupazioni nelle nostre popolazioni. L’Europa è la dimensione minima attraverso la quale gli Stati membri dell’Unione possono attuare una politica efficace. E’ un’illusione pensare di proteggersi con muri e fili spinati. E’ un errore storico ritardare la necessaria azione comunitaria in tema di accoglienza, di riconoscimento e ricollocazione dei rifugiati, di contrasto ai trafficanti di esseri umani, di rimpatri, più in generale di politiche dell’immigrazione.
Infine, a fronte dei tanti bambini morti in mare, giorno dopo giorno, assume un sapore crudelmente beffardo ferire la dignità stessa dei migranti, prevedendo addirittura di spogliarli dei beni che sono riusciti a salvare nella fuga dalle tribolazioni nei paesi natali, come si propone di fare un paese dell’Unione. Una misura che riconduce alla memoria i momenti più oscuri dell’Europa.

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Dopo la profonda crisi economica e sociale degli ultimi anni, che ha generato gravi perdite di capacità produttiva e di posti di lavoro, il 2015 si chiude con un segno positivo per il prodotto interno e per l’occupazione. Certo, è ancora insufficiente per compiacerci della ripresa, sapendo che un gran numero di nostri concittadini cerca ancora lavoro, che tante famiglie vivono tra le difficoltà o addirittura al di sotto della soglia di povertà. Tuttavia questa inversione di tendenza va colta come una opportunità. Anche in questo caso si tratta di una sfida che ci riguarda tutti e richiede uno sforzo collettivo dello Stato, delle Regioni, delle Autonomie,della società civile, del mondo economico e del lavoro.

Si discute apertamente sulle diverse priorità: ma dobbiamo riconoscere che la disoccupazione resta elevata in modo inaccettabile, in particolare per i giovani e il Mezzogiorno. Con questa preoccupazione dobbiamo guidare le innovazioni necessarie nel settore pubblico e nell’impresa, nelle politiche fiscali, in quelle industriali, nella scuola, nella ricerca, per trattenere intelligenze e professionalità invece che esportarle. Pubblico, privato, terzo settore: lo sviluppo sostenibile è una responsabilità comune.

Non credo che sia realisticamente immaginabile che la crescita o la ripresa determinino un ritorno automatico agli equilibri e alle condizioni precedenti alla crisi. Penso che persino la parola “crisi” rischi talvolta di indurci in errore: siamo di fronte a un cambiamento epocale. Assistiamo alla continua modifica della distribuzione dei pesi e delle influenze su scala planetaria. Il mondo è sempre più interdipendente.
Dobbiamo far esprimere la capacità di intraprendere, le iniziative, la solidarietà di cui siamo capaci per fare in modo che il nostro modello sociale, i nostri diritti, i nostri valori di civiltà si rinnovino, rafforzandosi. In questo modo potremo affrontare con efficacia la competizione mondiale e portare cooperazione e dialogo laddove prevalgono le tensioni.


Abbiamo bisogno di un’amministrazione all’altezza di queste ambizioni. Tutti i livelli di governo hanno dovuto, in questi anni, fare i conti con la scarsità delle risorse pubbliche. Le amministrazioni hanno subito tagli di bilancio. Non è facile conciliare il contenimento della spesa con la necessità di assicurare un buon funzionamento dei servizi ai cittadini. Voglio rivolgere un ringraziamento ai tanti dipendenti pubblici che hanno servito e servono con disciplina e onore il nostro Paese, mettendo nel lavoro quella passione civica che, in molti casi, consente di superare limiti, difficoltà, carenze strutturali.
Nella vita pubblica sono necessarie efficienza e tempestività, responsabilità chiare e criteri omogenei nelle decisioni, azioni orientate ai risultati, strumenti per valorizzare il merito e sanzionare comportamenti negativi. La riforma della pubblica amministrazione è un tassello essenziale per il rafforzamento del sistema-Italia. Mi auguro che la sua attuazione consenta di raggiungere i risultati sperati.

Occorre recuperare appieno il senso di appartenenza, il legittimo orgoglio, l’entusiasmo di lavorare per le istituzioni repubblicane a beneficio dei cittadini e del bene comune. Coloro che lavorano per lo Stato, spesso a costo di sacrifici e di incomprensioni, sono titolari di una vera e propria missione civile. A loro deve andare il nostro incoraggiamento.
Come va il ringraziamento dell’intera nazione a tutte le Forze di polizia e agli apparati di sicurezza, dal cui impegno dipende tanta parte della nostra serenità e della qualità della vita sociale. E alle Forze Armate che, con dedizione e spirito di Patria, servono la Repubblica. Un grazie speciale rinnovo ai militari impegnati nelle missioni all’estero: svolgono un compito di pace apprezzato in tutto il mondo e sono motivo di onore per l’intero Paese.

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Il Parlamento è impegnato in un’ampia riforma della seconda parte della Costituzione, che mira a concludere la lunga transizione avviata da un quarto di secolo, e purtroppo segnata da intese mancate e tentativi falliti. Non posso che augurarmi – come ho detto nel discorso di insediamento – che questo processo giunga a compimento in questa legislatura.
Da parte mia, non entro nel merito di scelte che appartengono alla sovranità del Parlamento e che, stando agli auspici formulati da ogni parte politica, saranno poi sottoposte a referendum popolare. Osservo soltanto che il senso di incompiutezza rischierebbe di produrre ulteriori incertezze e conflitti, oltre ad alimentare sfiducia, all’interno verso l’intera politica e all’esterno verso la capacità del Paese di superare gli ostacoli che pure si è proposto esplicitamente di rimuovere.

In ogni caso bisogna essere consapevoli che, per il buon funzionamento del sistema costituzionale, le prassi non codificate e i comportamenti valgono non meno delle norme. Qualunque riforma si riesca a realizzare, la democrazia assumerà le modalità concrete che gli attori le daranno, con il loro senso dello Stato, con l’etica della loro azione, con quanto di partecipazione dei cittadini riusciranno a promuovere.
La politica riconquista la sua funzione comunitaria quando è attiva nel circuito vivo della società. E quando mostra la propria utilità per la crescita generale del Paese. A partire dalla qualità e dall’efficacia della legislazione. Non può sfuggire, ad esempio, che, per competere nello scenario globale, serve un ambiente normativo e amministrativo chiaro e attento all’attività di impresa per favorire gli investimenti.

In questo momento storico si avverte fortemente l’esigenza di un riordino e di un recupero di razionalità nel processo legislativo. Le riforme non riguardano soltanto l’organizzazione costituzionale, ma dovranno anche imprimere una svolta rispetto all’uso improprio di strumenti e procedure. Uso improprio che, tra l’altro, contribuisce a rendere le norme talvolta incoerenti e non di rado oscure per i cittadini. Il tema della qualità della legislazione si pone davanti a noi come un dovere inderogabile.

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In sostanza, dobbiamo aver cura della Repubblica.
Averne cura non è un compito soltanto delle rappresentanze politiche o di chi esercita funzioni di governo. La Repubblica vive nei servizi che la sanità e la scuola rendono ai cittadini, nella funzionalità e celerità della giustizia, nel valore della pubblica amministrazione, nell’impegno del mondo del lavoro, nel sostegno alle famiglie, specie se numerose. La Repubblica vive nel suo patrimonio ambientale e culturale: un patrimonio straordinario che talvolta non riusciamo a valorizzare al meglio, ma sul quale stiamo investendo di più, con consenso e attenzione crescenti.
La Repubblica è costituita anche da quei milioni di volontari che contribuiscono a comporre la nervatura e l’anima generosa della nostra società. Senza questa rete di umanità la nostra stessa identità rischierebbe di smarrirsi.
La Repubblica si rinnoverà e prospererà se i suoi cittadini non si sentiranno soli e marginali. La politica, d’altra parte, si è impoverita quando la società non è riuscita a rigenerarla.
Avere cura della Repubblica vuol dire riproporne l’unità con l’intelligenza delle nuove sfide e delle nuove opportunità. Unità tra il Nord, il Centro, il Meridione. E tra le generazioni. Nessuno si salva da solo. Soltanto insieme possiamo affrontare i grandi cambiamenti.
La cura della Repubblica riguarda anche le periferie, che sono i nuovi centri, dai quali passano le grandi questioni antropologiche di questo tempo. Riguarda i quartieri più difficili delle metropoli, dove contrastare il disagio e favorire l’integrazione significa accrescere la sicurezza e far emergere talenti ed energie che altrimenti andrebbero perduti. Riguarda i nostri territori, dei Comuni montani e delle piccole realtà insulari, dove, in ragione della collocazione remota e della modesta densità demografica, oltre dieci milioni di italiani affrontano maggiori difficoltà. Riguarda altre periferie, quelle della società, con la necessità di assicurare vita dignitosa agli anziani, alle persone portatrici di disabilità, ai malati. Riguarda la solidarietà attiva nei confronti della povertà estrema e l’attenzione alle condizioni di vita nelle carceri.

Occorre investire sul capitale sociale. Questo è un corollario dei nostri principi costituzionali. Non è lungimirante una visione soltanto economicista dello sviluppo e neppure un confronto limitato all’ultimo decimale del Pil. Saremo più forti, cresceremo di più e meglio, se cresceranno le conoscenze, le relazioni, il rispetto, la cultura, la solidarietà.

 Certo, la tutela e l’ampliamento dei diritti richiede la coscienza dei doveri. La battaglia per l’affermazione piena della legalità e contro la corruzione va condotta senza esitazioni. Illegalità, malaffare e zone grigie sono un peso per la libertà, per l’economia e per il futuro dei nostri figli. Possiamo vincere sulle mafie, e le sconfiggeremo, come dimostrano anche i successi delle Forze dell’ordine e della Magistratura, ottenuti grazie alla dedizione di tanti uomini e donne dello Stato. Sono la prova che gli anticorpi ci sono, funzionano e che su di essi possiamo contare.

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Avere cura della Repubblica vuol dire tutelare e valorizzare il risparmio, elemento di forza caratteristico della nostra economia. Il risparmio non è soltanto il frutto della fatica del lavoro e la base di sicurezza familiare: è anche una leva di finanziamento cruciale per l’economia reale. In un contesto che sembra premiare soprattutto la speculazione finanziaria servono capitali pazienti per finanziare investimenti di lungo termine.
Di fronte a gravi recenti episodi, relativi ad alcune banche locali, che hanno suscitato comprensibile preoccupazione, si stanno approntando interventi di possibile sostegno, valutando caso per caso, al fine di tutelare quanti sono stati indotti ad assumere rischi di cui non erano consapevoli.
Occorre un accertamento rigoroso e attento delle responsabilità.
Sono di importanza primaria la trasparenza, la correttezza e l’etica degli intermediari, bancari e finanziari.
Oltre a rafforzare le cautele e le regole, bisogna incentivare progetti e iniziative di educazione finanziaria. In questo senso sta utilmente operando la Banca d’Italia.
Il nostro sistema creditizio ha resistito ai colpi della crisi, dimostrandosi più solido di altri. Lo attesta il fatto che non abbiamo dovuto effettuare salvataggi bancari miliardari, a differenza di quanto avvenuto per le banche di altri Paesi dell’Unione Europea, dove debiti privati sono stati trasformati in debiti pubblici.
Sul fronte europeo, dopo avere responsabilmente approvato mediazioni e compromessi per giungere a soluzioni condivise, abbiamo il dovere di chiedere – come ha fatto il Governo - che siano integralmente onorati gli impegni previsti in materia di Unione bancaria. Rassegnarsi a una Unione bancaria lacunosa e vulnerabile - come hanno evidenziato, del resto, anche la Commissione europea e la Banca Centrale europea - esporrebbe l’intera Europa a rischi di carattere sistemico.


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L’Italia è un Paese dinamico.
Le potenzialità di cui disponiamo sono più grandi di quanto noi stessi, a volte, siamo propensi a riconoscere. Ne abbiamo la responsabilità non soltanto nei confronti della nostra storia migliore, ma soprattutto verso le nuove generazioni.

Aver cura della Repubblica per costruire il futuro: è il messaggio che vorrei esprimere in questo incontro di fine anno, che introduce al settantesimo anniversario della scelta popolare per la Repubblica.

Per questo comune impegno, per il Natale e per il nuovo anno rivolgo i miei auguri più fervidi e sinceri a ciascuno di voi e a tutti i nostri concittadini.

 

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