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Minoranza Pd, direzione non voti per ratificare patti

Minoranza Pd, direzione non voti per ratificare patti

Civati, Renzi porti Berlusconi in direzione partito

ROMA, 12 novembre 2014, 23:00

Michele Esposito

ANSACheck

Pippo Civati arriva nella sede del PD per la riunione della Direzione - RIPRODUZIONE RISERVATA

Pippo Civati arriva nella sede del PD per la riunione della Direzione - RIPRODUZIONE RISERVATA
Pippo Civati arriva nella sede del PD per la riunione della Direzione - RIPRODUZIONE RISERVATA

In trincea rispetto al patto del Nazareno e in cerca di un fronte comune. Le anime della minoranza Pd continuano a tenere il punto in una direzione nella quale, dalla legge elettorale al Jobs Act, il premier-segretario Matteo Renzi toccherà alcuni dei provvedimenti sui quali gli attriti con la sinistra Dem sembrano tutt'altro che sfumati. Ed è, ancora una volta, il metodo utilizzato dal segretario - la convocazione di una direzione arrivata 48 ore prima - a far scattare la protesta della minoranza che, poco prima dell'incontro al Nazareno, si riunisce a Montecitorio chiedendo che non sia sottoposto a voto il patto Renzi-Cav. Alla riunione, durata circa due ore, partecipano di fatto i principali 'big' del dissenso anti-renziano, a cominciare da quel Massimo D'Alema che, in mattinata, annuncia anche lui la propria assenza in direzione per concomitanti impegni. Ma, oltre all'ex premier, in serata si siedono allo stesso tavolo esponenti delle principali aree della sinistra Dem: dall'ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, al capogruppo alla Camera Roberto Speranza, dal ministro Maurizio Martina a Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Una riunione che quindi segna il concretizzarsi della ricerca di un fronte comune delle varie aree della minoranza e, al termine della quale, viene posto un primo 'paletto' all'accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale manifestando "la netta contrarietà ai 100 capilista bloccati".

Ma se i temi di frizioni sono diversi, è il metodo utilizzato da Matteo Renzi a suscitare non poche perplessità. E il primo a manifestarle è Civati, che in mattinata annuncia l'assenza della delegazione che a lui fa riferimento. "Personalmente, per non mancare di rispetto al Pd ci sarà per ascoltare il segretario", afferma il deputato Democrat, chiarendo che non voterà, incassando subito la replica del presidente del Pd Matteo Orfini, che cerca subito di spegnere l'incendio: "La Direzione può essere convocata d'urgenza in caso ciò sia reso indispensabile dall'agenda politica. Spero pertanto che chi ha annunciato di non voler partecipare possa rivedere questa decisione". Nel frattempo, tiene banco per tutto il pomeriggio la 'trattativa' tra governo e minoranza sul Jobs Act, dove, in commissione Lavoro, quasi tutti i componenti Pd presentano un emendamento che, ripercorrendo quanto deciso nella direzione sulla riforma del lavoro è volto ad "assicurare la garanzia del reintegro nei casi di licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie".

Emendamento sul quale la sinistra Pd continua a promettere battaglia - abbozzando anche un asse con Sel - soprattutto se il governo opterà per mettere la fiducia sul testo uscito dal Senato. "Non voglio crederlo. Esiste un tema di lealtà verso ciò che decide la ditta e un tema di dissenso nel merito bisogna trovare una chiave, una mediazione", è il warning lanciato da Bersani. Mentre Teresa Bellanova, sottosegretario al Lavoro, se da un lato apre a un dibattito rapido sul tema dei disciplinari dall'altro ribadisce la volontà di portare in Aula prima la legge di stabilità e poi il Jobs Act. E, l'impressione, è che se il testo approderà già lunedì e con l'ombra di una fiducia, la minoranza Dem difficilmente alzerà bandiera bianca.

   

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