Di ritorno dalla missione in Africa, dove ha impostato un programma di sviluppo su energia e export, Matteo Renzi trova il fronte delle riforme sempre più frammentato. L'ostruzionismo messo in atto da opposizioni e dissidenti della maggioranza non è da sottovalutare: difficile spazzarlo via con i soli strumenti parlamentari, anche perché la Lega è ancora in bilico e invece per il governo sarebbe importante attrarla nell'orbita della maggioranza istituzionale che si regge sul Patto del Nazareno.
In altre parole, la diplomazia svolge in questa fase un ruolo cruciale: come dice Maria Elena Boschi, la riforma del Senato e del titolo V della Costituzione è la madre di tutte le battaglie e l'accusa mossa al premier di volere una svolta autoritaria ''è una bugia e un'allucinazione''. Tuttavia proprio il fatto che il governo leghi ''ineludibilmente'' il suo cammino al processo riformistico, come fa sapere il ministro delle Riforme, spiega l'accanimento con cui gli avversari bombardano le postazioni di maggioranza: c'è sempre la speranza di un ''incidente'', di qualche scivolone utile a dimostrare che anche nel Pd e nelle fila berlusconiane si annida il dissenso politico.
Ecco perché la capogruppo dem Anna Finocchiaro avverte che non ci sono margini per il voto segreto: gli sforzi della maggioranza sono tutti diretti a dimostrare che il grosso degli emendamenti ha uno scopo meramente ostruzionistico e dunque non può che essere votato a scrutinio palese. Ma ci sono anche alcune aperture a ritocchi (come per esempio in materia di referendum, di immunità, di voto sul bilancio dell'assemblea di palazzo Madama) che potrebbero accontentare il Carroccio, non prima comunque di un approfondito dibattito d'aula.
Il punto fermo è che tali ''ritocchi'' devono comunque essere concordati preventivamente tra Pd e Forza Italia (Romani) perché - dopo l'assoluzione del Cavaliere nel processo Ruby - la Maginot da difendere è il senso politico del Patto del Nazareno.
L'impressione è che una parte della possibile intesa con la Lega sia legata al dialogo in atto con Fi. Nel momento in cui Berlusconi tenta di riconquistare un ruolo dinamico, riallacciando i rapporti con Angelino Alfano, e allo stesso tempo difendendo quel che resta dell'asse del Nord, si tratta di non far naufragare la speranza di un centrodestra capace di riavvicinare Ncd e Lega. In realtà il discorso appare perlomeno prematuro: se lo scopo degli alfaniani è quello di porsi alla testa di un progetto di Ppe italiano, è chiaro che l' obiettivo non potrà essere mai condiviso dai lumbard. Del resto il Nuovo centrodestra, con Renato Schifani, è molto chiaro nell'escludere che il Cavaliere possa tornare ad essere il ''magnete'' dell'area moderata: Berlusconi avrà sempre un ruolo di padre nobile, ma non quello di esclusivo regista delle future intese. Eppure questo è proprio quello a cui sembra pensare il leader azzurro: tornare ad arbitrare l'equilibrio tra centro e destra. Ecco perché Renato Brunetta propone alla Lega di confrontarsi su sei punti chiave: presidenzialismo, riforma fiscale, reintroduzione del reato di clandestinità, riforma delle giustizia, abrogazione della legge Fornero, svalutazione dell'euro.
Matteo Salvini intuisce il pericolo di finire incastrato nelle consuete trattative e risponde di non essere disponibile a sconti sulla lotta all'immigrazione e sulla rottamazione dell' euro.
Si vedrà lo sviluppo del dibattito. Ma intanto Renzi, pressato dall'Europa, ha necessità di fare presto. Di fatto ha chiuso i canali di dialogo con Beppe Grillo, giudicando le avances dei 5 stelle manovre dilatorie da prima repubblica. Lo può fare perché l'asse con Berlusconi è uscito rinforzato dalla sentenza di Milano. Ma dovrà fare i conti con l'anima dialogante dei grillini, incarnata dal manovriero Luigi Di Maio, che non sembra considerare chiuso il negoziato: tanto da sfidare i democratici alla prova del voto in aula e da reclamare risposte concrete alle proposte emerse nel secondo incontro con il Rottamatore.
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