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La guerra dei silovikì - monopolio della forza

La guerra dei silovikì - monopolio della forza

MOSCA, 08 settembre 2016, 07:10

Giuseppe Agliastro

ANSACheck

FSB operation against wanted members of illegal arms units © ANSA/EPA

FSB operation against wanted members of illegal arms units © ANSA/EPA
FSB operation against wanted members of illegal arms units © ANSA/EPA

Mentre Putin fa le sue sostituzioni sulle poltrone del potere promuovendo i suoi yes-man, in Russia si inasprisce quella che da queste parti chiamano “guerra dei silovikì”, cioè la lotta tra i rappresentanti degli apparati di forza dello Stato. E’ un conflitto che va avanti già da anni, ma che ultimamente ha fatto cadere qualche testa importante, prima fra tutte quella dell’ormai ex capo della Dogana, Andrei Belianinov, che negli anni ‘80 ha lavorato per il Kgb in Germania Est, dove pare si sia legato all’allora collega ed ora ‘zar’ Vladimir Vladimirovich.

In questo momento sembra che all’attacco ci siano i servizi segreti: il famigerato Fsb nelle ultime settimane ha perquisito gli uffici e due lussuose ville di Belianinov - costretto a tirar fuori da alcune scatole di scarpe qualcosa come un milione di dollari in contanti – e ha inflitto una sonora batosta al potente Comitato Investigativo guidato da Aleksandr Bastrikin, amico di Putin dai tempi dell’università, facendo scattare le manette per tre alti dirigenti accusati di aver intascato mazzette fantasmagoriche per coprire un clan criminale.

A fine luglio, l’Fsb ha perquisito la sede del Comitato Investigativo a Mosca e ha sbattuto al fresco Mikhail Maksimenko, capo del dipartimento di Sicurezza interna, il suo vice Aleksandr Lamonov, e soprattutto il numero due del ramo moscovita del Comitato, Denis Nikandrov. Quest’ultimo, secondo i media, avrebbe addirittura intascato una bustarella da un milione di dollari in cambio della liberazione del ‘re del crimine’ russo, Shakro il Giovane, arrestato qualche settimana prima mentre se ne stava tranquillo nella sua villa faraonica a due passi da Mosca. “L’autodepurazione continuerà”, ha commentato il portavoce del Comitato Investigativo, Vladimir Markin. Ma in realtà non si capisce bene di quale “autodepurazione” parli, visto che l’indagine è stata condotta dall’Fsb, che ha inviato il fascicolo al Comitato Investigativo solo all'ultimo minuto, giusto per rispettare formalmente la procedura penale. Di sicuro c’è che da questa storia l’ente agli ordini di Bastrikin esce con le ossa rotte e la reputazione a pezzi, mentre per il suo capo potrebbe trattarsi di una sorta di avvertimento.

La stoccata contro Belianinov è invece legata a un caso di contrabbando di alcolici in cui è coinvolto un noto imprenditore di San Pietroburgo, Dmitri Mikhalchenko, arrestato a marzo. L’ex capo della Dogana ufficialmente non è indagato (magari non lo è ancora, o forse non lo sarà mai), ma è stato sentito in qualità di testimone. Di certo però dietro il suo siluramento ci sono le immagini della sua villona extra-lusso che viene perquisita dall’Fsb, poi quelle di lui che tira fuori un milione di dollari in contanti da vecchie scatole di scarpe dicendo agli uomini dei servizi segreti che si tratta di “risparmi familiari”, e infine quelle di un’intera scrivania coperta di bigliettoni sonanti.

Insomma, i sospetti che Belianinov abbia sfruttato la sua posizione per guadagnare fior di quattrini illegalmente sono forti, e Novaia Gazeta ha scritto una dettagliata inchiesta a proposito. Del resto in Russia le tangenti fanno quasi parte dei legittimi diritti degli “intoccabili”, che però sono tali solo finché lo vuole lo zar, e proprio per i loro scheletri nell’armadio sono in realtà ricattabili e rimuovibili. Insomma, morto un cardinale se ne fa un altro, e così Belianinov è stato prontamente sostituito - anche lui - da un pezzo grosso dei servizi: il generale dell’Fsb Vladimir Bulavin, fino a poco tempo fa rappresentante di Putin nel distretto nord-occidentale.

Sia ben chiaro che tutti gli apparati di forza sono fedeli al Cremlino, anche se ogni tanto si prendono a sberle: Fsb, ministero dell’Interno, procura generale e Comitato Investigativo sono tutti strumenti nelle mani di Putin. E’ stato proprio il Comitato di Bastrikin a dare il via ai guai giudiziari del blogger e crociato contro la corruzione Alexiei Navalni, ed è sempre il Comitato che ha fatto finire in carcere alcuni dei dimostranti che il 6 maggio 2012 scesero in piazza Bolotnaia contro Putin in una manifestazione che degenerò in violenti scontri con la polizia. Se questi organismi si fanno la “guerra” è perché vogliono il controllo sull’apparato repressivo dello Stato in modo magari da influenzare il ricambio all’interno dell’élite al potere. Ma in ogni caso è Vladimir Putin l’unico ad avere la chiave per entrare nella stanza dei bottoni.

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