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Egitto: parla un amico di Zaky: 'Anch'io rapito, temo per lui'

Egitto: parla un amico di Zaky: 'Anch'io rapito, temo per lui'

I genitori del giovane: 'Torturato per sapere dei Regeni'

14 febbraio 2020, 15:12

di Stefania Passarella

ANSACheck

Una immagine del ricercatore egiziano Patrick George Zaky - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una immagine del ricercatore egiziano Patrick George Zaky - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una immagine del ricercatore egiziano Patrick George Zaky - RIPRODUZIONE RISERVATA

"Sono stato rapito dalle forze di sicurezza statali" in Egitto "e interrogato per 35 ore", "non ho subito elettroshock ma sono stato picchiato, bendato e legato. Mi hanno privato del sonno e hanno cercato di distorcere il tempo". È la drammatica testimonianza che fa all'ANSA Amr, cittadino egiziano 29enne che vive e lavora a Berlino da qualche anno, amico di Patrick George Zaky, arrestato venerdì al Cairo e tuttora detenuto, in prima fila tra coloro che in tutta Europa ne stanno chiedendo la liberazione. "Assolutamente sì", c'è il timore di essere spiati e controllati dalle forze di sicurezza egiziane anche all'estero, "ci sono state tante storie su questo in passato, una volta ho incontrato un ricercatore che stava scrivendo una tesi di master proprio su questo argomento".

LA TESTIMONIANZA ALL'ANSA. Dopo essere stato così interrogato "sono stato rilasciato, ma hanno continuato a chiamarmi per le indagini più volte e quindi mi sono reso conto che ero in pericolo e dovevo scappare dal Paese", racconta Amr. Questo accadeva nel luglio 2015, dal settembre di quell'anno Amr non ha più messo piede nel suo Paese natio, l'Egitto. "Come ingegnere del software ho avuto subito diverse offerte di lavoro in Europa e sono partito subito". Ai tempi dell'Università, Al Cairo, risale la sua conoscenza con Patrick Zaki. I due si sono avvicinati con l'inizio della rivoluzione egiziana nel 2011 e poi nel 2012 Amr racconta di Patrick, in prima fila per lui espulso dall'università "per motivi politici".

Ora l'amico ricambia il favore in un certo senso, e parla a nome di migliaia di attivisti e amici tra Egitto ed Europa che in questi giorni hanno messo in piedi una straordinaria mobilitazione, sul web, nelle piazze, non solo a Bologna Proprio la petizione lanciata da Amr su Change.org sabato per chiedere la liberazione di Patrick ha superato 35mila firme. "In questi ultimi 9 anni ho imparato la lezione a mie spese - dice Amr all'ANSA - Niente è più importante che coinvolgere le persone. Le persone sono il vero potere". "Pagherò un prezzo per aver fatto sentire la mia voce per Patrick, lo so - aggiunge - ma è tempo che si conosca il prezzo che paghiamo. Il mio più grande timore è che questo prezzo che noi egiziani paghiamo per la nostra sicurezza sia per nulla. E questo accadrà soltanto se le persone cominceranno a ignorare le nostre storie. A trattarci come numeri, i 60mila detenuti politici in Egitto non sono numeri. Sono persone con volti, vite, con persone che amano, cibo che amano, famiglie, passioni, ma il mondo li vede solo come numeri. La mia più grande speranza è che arrivi un giorno in cui finiscano tutte le dittature del mondo. Un mondo di verità e giustizia, per Regeni, per Patrick, Alaa Abdelfattah, per Shady abo zaid, per Ahmed douma, per chiunque lotti per la libertà in questo mondo".

SI MUOVE L'EUROPA. Il presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, richiama l'emiciclo di Strasburgo sul caso: "Voglio ricordare alle autorità egiziane che l'Ue condiziona i suoi rapporti con i Paesi terzi al rispetto dei diritti umani e civili come ribadiamo in tutte le nostre risoluzioni e chiedo che Zaki venga immediatamente rilasciato e restituito ai suoi cari". E assicura che l'Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, "solleverà la questione al prossimo Consiglio europeo lunedì prossimo".

In Italia alla Camera il ministro per i rapporti col Parlamento Federico D'Incà risponde al question time sul caso e spiega che Patrick per il governo italiano è priorità.

In tutta Europa le mobilitazioni che chiedono il rilascio dell'attivista si moltiplicano. Dopo Bologna e Granada manifestazioni si terranno a Milano e Berlino. E l'Università di Bologna promuoverà un grande corteo nel capoluogo emiliano prima del 22 febbraio, data in cui scadono i primi 15 giorni di custodia cautelare in carcere per Patrick a Mansura.

LA FAMIGLIA DI ZAKY. I genitori del 27enne denunciano che a lui è stato chiesto anche dei suoi legami con la famiglia di Giulio Regeni. "L'hanno interrogato illegalmente per trenta ore. E poi, sì, gli hanno chiesto anche dei suoi legami con la famiglia di Giulio Regeni. Dal 2016, di quel ragazzo italiano si parla su tutti i social media e anche Patrick conosceva il caso, se n'era interessato". I genitori di Patrick sono stati raggiunti nella loro casa egiziana a Mansura da Repubblica e Corriere della Sera, che oggi pubblicano un reportage.

Proprio i genitori del ricercatore italiano ucciso nel 2016 al Cairo rompono il silenzio. Seguono "con attenzione e apprensione l'arresto al Cairo" di Patrick che, "come Giulio, è un brillante studente internazionale e ha cuore i diritti inviolabili delle persone. I governi democratici dovrebbero preservare e coltivare la crescita di questi nostri giovani impegnati e studiosi e dovrebbero tutelarne in ogni frangente l'incolumità", dicono Paola e Claudio Regeni e il loro legale, Alessandra Ballerini in una nota.

Nei confronti di Patrick "è stato emesso un mandato di comparizione il 24 settembre ma nessuno glielo ha comunicato. Per questo è stato fermato alla frontiera. Lì - evidenzia il legale della famiglia - è stato bendato e portato da qualche parte al Cairo. È stato detenuto e interrogato per 30 ore, torturato. Lo picchiavano e gli chiedevano dei suoi legami con l'Italia e con la famiglia di Giulio Regeni. Patrick non sa nulla di tutto questo: così alla fine lo hanno trasferito qui a Mansura". "Nostro figlio stava tornando a casa per festeggiare gli ottimi voti ottenuti e ci siamo ritrovati a portargli cibo e vestiti in prigione. Vogliamo soltanto che torni a casa'', dicono i genitori. "Patrick difende le sue libere opinioni, ma conosce bene i limiti. Siamo una famiglia pacifica, nostro figlio non ha fatto nulla di sbagliato e non è mai stato una minaccia o un pericolo per nessuno, anzi: ha sostenuto e aiutato molta gente". "Ce l'hanno fatto vedere domenica. Lo rivediamo giovedì. Solo dieci minuti in parlatorio, assieme agli altri detenuti, presente un agente di polizia", proseguono i genitori. "Domani portiamo a Patrick i libri. Ha chiesto di studiare, vuole essere pronto per gli esami di marzo. La nostra speranza è questa sua forza".

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