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In fuga dal Sud Sudan, Etiopia terra promessa

In fuga dal Sud Sudan, Etiopia terra promessa

Nei campi profughi 650 mila persone. I disperati che vogliono vivere

13 novembre 2014, 13:29

Eloisa Gallinaro

ANSACheck

Campi dei profughi Sud Sudanesi in Etiopia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Campi dei profughi Sud Sudanesi in Etiopia - RIPRODUZIONE RISERVATA
Campi dei profughi Sud Sudanesi in Etiopia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Hanno bisogno di tutto ma soprattutto di cibo: sono i 650 mila rifugiati nei 24 campi profughi dell'Etiopia che sopravvivono grazie ai cereali, allo zucchero e all'olio che il Pam, il Programma alimentare mondiale dell'Onu, distribuisce per evitare una catastrofe umanitaria ancora peggiore. Erano 450.000 mila fino a dieci mesi fa, soprattutto eritrei e somali, ma anche sudanesi e sud sudanesi: poi, a partire da dicembre, sono arrivati altri 200.000 disperati sud sudanesi spinti al di qua del confine, nell'area di Gambella, dalla guerra civile tra i 'lealisti' di etnia dinka del presidente del Sud Sudan Salva Kiir e i 'ribelli' nuer del suo ex vice Riek Machar.

   Tendopoli sterminate messe su dall'Unhcr, l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati, magazzini di tela cerata o di lamiera per stivare tonnellate di cereali del Pam. La gente in fila per avere le razioni e prendere l'acqua, o per terra, in attesa del nulla. E i bambini, tanti, un po' vestiti e un po' no. I più piccoli in braccio alle madri, gli altri che provano a giocare: tra la polvere e le mosche dove c'e' il sole, tra il fango e le mosche dove piove. Sempre scalzi.

   Ma non è finita. La pace è ancora lontana nel più giovane stato del pianeta, indipendente da Khartoum dal 2011. E i Paesi vicini, Etiopia in testa ma anche Kenya, Uganda, addirittura Sudan, sono l'unica possibilità di salvezza. La stagione delle piogge sta finendo e da gennaio le operazioni militari potrebbero essere più intense. "Si rischia una nuova ondata di migliaia di profughi" e "dobbiamo avere la possibilità di aprire altri campi", si preoccupa Jacob Asens, responsabile del Programma Rifugiati del'Echo, il Dipartimento per gli aiuti umanitari della Commissione europea che nel 2014 ha finanziato aiuti umanitari e progetti di sviluppo per 37 milioni di euro.

  Bisogna essere pronti, è il coro comune dei funzionari in Etiopia dell'Unhcr, del Pam, dell'Echo. Soprattutto negli 'Entry Point', i varchi attraverso i quali i profughi arrivano in Etiopia e dove sono approntati i centri di prima accoglienza. Come quello di Pagak, nell' Etiopia occidentale al confine col Sud Sudan. Da qui sono entrati 90 mila disperati e qui, nelle prossime settimane, ne potrebbero arrivare altre migliaia. Di la', a qualche metro, la guerra civile di Juba, di qua razioni di cibo e tendoni. L'acqua del fiume Gikow gonfiato dalla pioggia, proprio sul confine, per fare il bagno. Qualche giorno di sosta per i profughi stremati -  tante le donne e i bambini nutriti anche con gli 'High Energy Biscuits' per evitare il tracollo - e poi il trasferimento nei campi piu' interni e piu' organizzati.

   Ma ora da qui non ci si puo' spostare. In 3 mila sono bloccati da tre mesi per le alluvioni che hanno reso impraticabili molte zone, e i campi della regione di Gambella sono pieni. Solo in quello di Kule, una trentina di chilometri piu' in la' e aperto a maggio, ci sono 45 mila persone. A Leichtuor, a 120 chilometri, che ha sofferto più di tutti per le inondazioni, i rifugiati sono quasi 48 mila. Tierkidi ospita circa 49 mila sud sudanesi. Dappertutto in maggioranza sono donne e bambini. Gli uomini sono rimasti al di là della frontiera, a combattere.

   L'Etiopia, che ha scelto una politica di 'open door', è il Paese africano con il maggior numero di rifugiati. E solo ai sud sudanesi sono state distribuite da dicembre, quasi 20 mila tonnellate di cibo, per un valore totale che entro la fine dell'anno arrivera' a 30 milioni di dollari. Ma servono altri soldi: per sfamare tutti i 650.000 - affermano fonti del Pam ad Addis Abeba - almeno 44 milioni di dollari entro marzo 2015.  

   Non tutti ce l'hanno fatta a scappare. Un milione di civili, c'è chi dice due, hanno abbandonato case e villaggi, orti e bestiame e sono intrappolati all'interno dei confini sud sudanesi senza risorse. Ogni giorno, più volte al giorno, dagli aeroporti di Gambella, Asosa, Jimma, decollano i quattro Ilyushin-76 e i due C-130 del Pam. Da marzo hanno lanciato quasi 30 mila tonnellate di cibo. "Ma se non si arriva alla pace - avverte Walid Ibrahim, capo della impeccabile logistica del Pam in Etiopia - ci sara' bisogno di lanciare generi alimentari per tutto il 2015".

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