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In fuga da Mariupol, 225 km a piedi con il cane Zhu

In fuga da Mariupol, 225 km a piedi con il cane Zhu

Igor cercava di essere 'invisibile' tra i check point russi

ROMA, 14 maggio 2022, 08:01

di Francesco Betrò

ANSACheck

In fuga da Mariupol, 225km a piedi col cane Zhu - RIPRODUZIONE RISERVATA

In fuga da Mariupol, 225km a piedi col cane Zhu - RIPRODUZIONE RISERVATA
In fuga da Mariupol, 225km a piedi col cane Zhu - RIPRODUZIONE RISERVATA

Immaginate di percorrere a piedi la distanza che divide Roma da Napoli. Adesso, però, supponete di farlo in Ucraina senza voler abbandonare il fedele amico a quattro zampe. È la storia di Igor Pedin, 61 anni, scappato da Mariupol e arrivato a Zaporizhzhia dopo aver camminato 225 chilometri. Insieme a lui, l'inseparabile Zhu-Zhu, un terrier di nove anni. Come raccontato dal Guardian, alle 6 di mattina del 23 aprile i due sono scappati dalla città assediata, nelle ore successive all'arrivo dei soldati russi che avevano cominciato a 'entrare casa per casa e a sparare a piacimento'.
    L'obiettivo di Pedin e Zhu-Zhu era essere "invisibili", di non farsi vedere dagli invasori ma attraversare i territori assediati dai soldati di Mosca non è stato facile. Con 50 chili di zaino sulle spalle, hanno inizialmente percorso i 5 chilometri che portavano fuori da Mariupol, superando mine e cadaveri lasciati per strada. Hanno incontrato militari sul loro cammino, "ma - racconta l'uomo - ai loro occhi ero un vagabondo, non ero niente. Sono uscito dalla città, mi sono voltato e ho guardato Mariupol: mi sono detto che era la decisione giusta dirle addio".
    Raggiunta Nikolske, a 20 km da Mariupol, Pedin e Zhu-Zhu hanno incontrato un uomo fuori dalla porta di una casa, aveva appena seppellito il figlio di 16 anni: "Mi ha chiesto di brindare a lui". Da 15 anni Pedin non toccava alcol, ma non ha potuto rifiutare. Dopo aver lasciato la città, il giorno dopo, si sono imbattuti in un check-point di soldati ceceni. "Mi hanno chiesto dove stessi andando e poi sono stato riportato a Nikolske. Dentro un ufficio, un ufficiale russo mi ha interrogato. Gli ho mentito - racconta Pedin -, gli ho detto che avevo un'ulcera allo stomaco e dovevo andare a Zaporizhzhia perché avevo pagato per il trattamento. Poi mi hanno fatto spogliare in cerca di tatuaggi, pensavano avessi un fucile con me a causa di un livido sulla schiena".
    Pedin è stato minacciato di morte ma, dopo avergli preso le impronte e scattato una foto segnaletica, i militari russi lo hanno lasciato andare, fornendogli un documento dell'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk e regalandogli delle sigarette. Con il foglio, a Rozivka Pedin e Zhu-Zhu non hanno avuto problemi a superare i controlli, ma a Verzhyna si è ripetuta la scena accaduta al posto di blocco di Nikolske: ancora perquisizioni e minacce. Sempre, fortunatamente, senza conseguenze.
    Prima di raggiungere la libertà, però, bisognava superare un altro ostacolo. I due protagonisti di questa storia hanno dovuto attraversare un ponte che era stato distrutto lasciando un dislivello di 30 metri. Dopo un ultimo tratto di strada percorso grazie al passaggio in macchina di un uomo, finalmente una bandiera Ucraina in lontananza: Pedin e Zhu-Zhu erano arrivati a Zaporizhzhia.  
   

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