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I monaci del deserto

I monaci del deserto

22 febbraio 2018, 21:08

Redazione ANSA

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Wadi Al-Natrun è quasi tre ore dal Cairo, tempeste di sabbia permettendo. Qui ci sono quattro tra i monasteri più antichi del mondo, dove è nato il monachesimo oltre 1700 anni fa e che oggi rifiorisce con la presenza di centinaia di religiosi. Nel monastero di San Bishoi sono circa duecento; più o meno altrettanti nei tre conventi limitrofi. Vere e proprie oasi, punti di riferimento per la gente dei villaggi. I monaci sono padri spirituali, teologi, ma anche medici, agronomi, ingegneri, fisioterapisti, dentisti, farmacisti. Arrivano al convento tutti con una laurea in tasca, pronti ad insegnare nuove tecniche agricole o a curare malattie. Traducono manoscritti antichi ma non disegnano smartphone, web e tv perchè, come dice Abuna Sarabamun, "dobbiamo restare in contatto con il mondo, sapere che cosa accade, anche per pregare per la gente fuori di qui".

La gente dei villaggi, quasi tutti musulmani, ha come punto di riferimento questi monaci. "Le relazioni sono molto strette, viviamo insieme da secoli", dice Abuna Makary del monastero di Baramos, sempre nella valle del nitro, il sale caro ai faraoni che consentiva di mummificare i corpi; il monaco ci accompagna, piedi scalzi proprio come in moschea, nella chiesa incastonata tra le cupole color sabbia, come quella del deserto attorno. Ma questo dialogo secolare tra cristiani e musulmani non cancella le paure di una Chiesa da sempre 'ferita'. I monasteri costruiti sin dall'origine come fortezze, con tanto di cunicoli e passerelle di legno per fuggire all'occorrenza, sono accessibili solo dopo stretti controlli, tra metal detector e torrette presidiate dai militari. Lungo la via ci sono, sparsi come per caso, anche presidi pesanti, con carri armati e giovani con elmetti e giubbotti antiproiettili.

LE DONNE CRISTIANE IMPEGNATE NEL SOCIALE

Sono tante le donne cristiane, dalle suore alle laiche, che operano nel sociale, offrendo servizi che nessuno fa. Come le suore di Madre Teresa ad Alessandria. Si occupano di disabili mentali, persone che non hanno molte chance di vivere una vita dignitosa. Molte famiglie non hanno i mezzi per accudire questi familiari ‘diversi’. In altri casi i disabili, e soprattutto quelli mentali, sono considerati una specie di maledizione. E così Sister July e le consorelle con il sari bianco e le bande azzurre fanno quello che umanamente sembra impossibile. Consentire a qualche decina di persone, uomini e donne divisi in due piccole case, di con durre comunque una vita dignitosa.

Di disabili si occupa anche Marianne, laica, cristiana, della cooperativa L’Arch. Nei locali della parrocchia copto cattolica di Alessandria si fanno saponette, candele, lavori con i tessuti. Piccole attività manuali per dare un senso alle lunghe giornate di chi vive la disabilità. “Qui al Nord possiamo accogliere oltre ai cristiani anche giovani musulmani. Ma in Alto Egitto, al Sud, questo non è possibile. Saremme accusati dai musulmani di proselitismo”.

Suor Sabah è dell’ordine delle Minime Francescane del Sacro Cuore ed è la ‘mamma’ di una ventina di ragazze. Trai 5 e i 18 anni le giovani che vivono nel Collegio delle suore hanno un passato difficile: o sono orfane o con famiglie troppo povere. “Ma qualcuna invece ha il padre violento. Le madri in questi casi possono far poco e le portano a noi di nascosto”, racconta la monaca spiegando che le giornate quotidiane non sono sempre facili con il timore che qualcuno venga con forza a reclamare la figlia-schiava.

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