Il numero magico è 49,32%. Ovvero il risultato (ufficiale) di Russia Unita alle scorse elezioni, che ha fruttato il 52,88% dei seggi alla Duma, pari a 238 scranni. Una flessione rilevante rispetto al 64,30% delle preferenze del 2007 e al 70% dei seggi conquistati nella camera bassa del parlamento. Il trend dunque è chiaro. E questo è uno dei motivi che hanno spinto Putin a cambiare la legge elettorale in vigore: addio proporzionale puro, largo al sistema misto. Il ‘Cremlinum’ - vedi scheda - prevede infatti l’elezione di 225 deputati in liste nazionali proporzionali - in mano ai partiti - e 225 in collegi uninominali radicati nel territorio. Un ritorno al passato che rimescola le carte e che, da un lato, dovrebbe garantire più equità e partecipazione ma che, dall’altro, permette al Cremlino, sostengono alcuni osservatori, di mantenere saldo il controllo sulle urne senza nemmeno dover ricorrere ai brogli.
L’analista Alexei Makarkin ritene che il ritorno al sistema misto, già in vigore nella decade 1993-2003, beneficerà infatti Russia Unita. Se negli anni del boom le liste nazionali davano i loro frutti, sull’onda della popolarità, evitando il problema dei candidati eletti nei collegi uninominali, “più difficili da controllare”, ora che la crisi morde, invece, il brand non è più così forte. Dunque meglio tornare ai collegi. Magari, spiega Makarkin, con candidati “mascherati” da indipendenti ma in realtà telecomandati da Russia Unita. Il cui segretario è, ricordiamolo, Dmitri Medvedev, attuale primo ministro, ex presidente e alleato di ferro di Putin. Il firewall creato per gestire l’accesso ai collegi da parte di aspiranti deputati fa poi il resto. “Chi vuole presentarsi alle elezioni può raccogliere tutte le firme che vuole, come prevede la legge, ma le commissioni elettorali locali sono libere di rigettarle: i partiti sono semplicemente avvisati di non nominare candidati indesiderabili”, dice Andrey Pertsev del centro Carnegie di Mosca. Il vero filtro, dunque, avviene a monte, anni luce prima delle elezioni.
E per chi non si piega, ci sono altri metodi. Le opposizioni extra-parlamentari sono ormai virtualmente estinte: Alexei Navalni non è stato ammesso alle elezioni in virtù di due condanne per appropriazione indebita cucite su misura e i partiti di Mikhail Kasianov (Parnas) e Grigory Yavlinsky (Yabloko) viaggiano a percentuali di gradimento talmente basse che rischiano di non superare la soglia di sbarramento (il 5%). L’opposizione ‘di sistema’ - il Partito Comunista di Gennadi Ziuganov, in sella dal 1993, i Liberaldemocratici di Vladimir Zhirinovski e Russia Giusta di Serghei Mironov - potrà negoziare su alcune questioni ma, scrive il Moscow Times, è “saldamente sotto il controllo del Cremlino”. "Putin le elezioni ce le ha già rubate", accusa Kasianov senza mezzi termini (leggi intervista).
Ciò non significa che sia già tutto scritto. Restano alcuni fattori chiave in questa tornata elettorale da tenere d’occhio. Intanto il voto riguarda 39 regioni su 85 e dunque al quadro federale si somma quello locale, tradizionalmente più ‘poroso’ nei confronti dei partiti non di sistema. Poi alle urne si recherà questa volta anche la Crimea con i suoi 1,8 milioni di abitanti: l’affluenza e le preferenze saranno per Mosca un dato molto importante, che avrà potenzialmente dei riverberi internazionali e dunque delle ripercussioni sulla complessa partita di Putin in Ucraina. In ultimo, come già accennato, la crisi: è la prima volta dal 1995 che le elezioni politiche si celebrano sull’onda di una profonda recessione e ciò non avvantaggia mai - di norma - il partito di governo.
L’economia che non tira è la principale preoccupazione dei vertici del regime. E’ uno dei motivi che hanno spinto Viacheslav Volodin, tra i gran visir di Putin, con delega alla politica interna, ad allargare le maglie e permettere la possibilità - ma per ora è solo un’ipotesi - di una sorta di dissenso moderato. Tant’è vero che a capo della Commissione Elettorale è stato rimosso l’odiato Vladimir Churov, sinonimo di truffa e contestato duramente nelle manifestazioni di piazza Bolotnaya del 2011, e al suo posto è stata nominata Ella Panfilova, ex commissaria ai Diritti Umani. Non una creatura del Cremlino ma una figura politica rispettata e apprezzata anche dalle opposizioni.
Fin qui - più o meno - la carota. Ma dovesse servire c’è già pronto il bastone.
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