Il 2016 probabilmente passerà agli annali come un anno chiave nella riorganizzazione degli strumenti del potere putiniano. Il presidente russo, lo scorso aprile, ha infatti istituito per decreto un “un nuovo corpo armato”, la Guardia Nazionale, in cui sono confluiti sia le odierne ‘truppe interne’, ovvero le forze di sicurezza responsabili per calamità e grandi rischi, sia i corpi di elite della polizia. Una riorganizzazione all'insegna “dell'efficienza”. Peccato che la Guardia Nazionale non risponde più al ministro dell'Interno ma, di fatto, al “comandante in capo” della Russia. Cioè Putin. A guidare il nuovo ente è Viktor Zolotov. Fedelissimo dello zar sin dai tempi di San Pietroburgo, prima della promozione - ora è membro del Consiglio di sicurezza e ha il rango (e lo stipendio) di un ministro - è stato a capo del servizio di sicurezza del presidente.
Alla Guardia Nazionale è stato affidato il compito di “combattere il terrorismo e il crimine organizzato” e proprio in virtù di queste sfide, si sottolinea, serviva una nuova ‘centralizzazione’ per evitare sovrapposizioni e inefficienze. Ma il timore di una svolta autoritaria è più che fondato: il nuovo corpo sarà infatti coinvolto nella “repressione di manifestazioni non autorizzate”. “Il terrorismo non c'entra nulla”, spiega Pavel Felgenghauer, esperto militare e analista per Novaya Gazeta. “Lo scopo è d'istituire un esercito per combattere il popolo russo quando fra un anno o due ci saranno problemi in piazza, visto le condizioni economiche sempre peggiori del Paese. Nel 2011 si è visto che il sistema attuale non funzionava, perché le truppe interne sono composte da ragazzi giovani, poco ‘vigorosi’, e i corpi di elite, richiamati da ogni parte della Russia, avevano addestramenti diversi: ora invece il Cremlino avrà a disposizione dei pretoriani”.
A completare il quadro ci pensa un giro di vite del quadro normativo, l’ormai nefasta riforma che porta il nome della deputata Irina Yarovaya, tra le più discusse e controverse approvate dalla Duma uscente. La stretta è severissima e ha implicazioni anche per i diritti civili, visto che d'ora in poi sarà reato “l'istigazione o il coinvolgimento nell'organizzazione di disordini di massa”, punito con pene detentive dai 5 ai 10 anni. E a farne le spese saranno persino i minori dai 14 anni in su. Non solo. La ‘Yarovaya’ prevede provvedimenti da Grande Fratello per gli operatori telefonici e i provider internet, tanto da far insorgere la talpa del Datagate, Edward Snowden, che proprio qui ha trovato asilo: “Per la Russia - ha detto - è un giorno nero”. Le misure, oltre a inasprire pene e procedure per tutto ciò che concerne i reati legati al terrorismo - vedi box - introducendo, tra le varie cose, la "mancata denuncia" - punita con il carcere - d'informazioni relative ad “attività terroristica, colpi di stato o complotti omicidi ai danni di uomini di governo", obbligano le società di telefonia e di erogazioni di servizi internet a conservare per sei mesi i dati di traffico fra gli utenti (inclusi foto, video, audio e messaggi) e i metadati (in questo caso per tre anni). Una mole enorme d'informazioni. Se applicata, la legge potrebbe costare al settore delle telecomunicazioni - recitano le ultime stime - fino a 138 miliardi di euro. Una cifra insostenibile.
Lo zar però è andato avanti lo stesso, salvo intimare al governo di “monitorare” l'attuazione della legge e introdurre “tutti i correttivi necessari” per “minimizzare l'impatto economico” sul settore delle telecomunicazioni. Insomma, soluzioni si troveranno. La stessa Yarovaya ha poi sottolineato che il tipo di dati da conservare dovrà essere "specificato" dal governo ma saranno coinvolti “solo” quelli che riguardano il terrorismo. L'impianto draconiano della legge ad ogni modo resta e c'è chi l'ha definita "la più repressiva della Russia post-sovietica", forse persino dalle tinte staliniane, specie nella sua parte che ritiene ogni cittadino perseguibile se non denuncia le (possibili) informazioni in suo possesso.
Se dunque le fosche previsioni di Felgenghauer dovessero mai avversarsi, il Cremlino avrebbe un bell’arsenale su cui poter contare. “Putin - ha commentato lapidario Alexei Venediktov, direttore di Radio Eco di Mosca - si sta preparando alle elezioni del 2018”. Ovvero quando i russi dovranno votare per l’unica carica che conta davvero: la presidenza.
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