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“Eravamo amici dei serbi, stavamo sempre insieme”

“Eravamo amici dei serbi, stavamo sempre insieme”

27 maggio 2015, 10:36

Redazione ANSA

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“Eravamo amici dei serbi, stavamo sempre insieme” - RIPRODUZIONE RISERVATA

“Eravamo amici dei serbi, stavamo sempre insieme” - RIPRODUZIONE RISERVATA
“Eravamo amici dei serbi, stavamo sempre insieme” - RIPRODUZIONE RISERVATA

Tra le donne che si danno appuntamento a casa di Hajra ci sono anche Reja Avdič e Nura Begovič. Dalle loro parole emerge ancora forte il risentimento nei confronti dei serbi, a dimostrazione del fatto che a vent'anni di distanza le ferite non accennano a rimarginarsi. In Bosnia, fatta eccezione per la capitale Sarajevo, regnano ancora la diffidenza e il rancore tra le etnie che compongono il Paese. La pace, siglata con gli accordi di Dayton nel novembre del 1995, sembra in questi territori solo una facciata. La pacifica convivenza fra musulmani e ortodossi, che per secoli ha caratterizzato la Bosnia Herzegovina, appare oggi solo un miraggio.

“Eravamo amici dei serbi, vicini di casa, stavamo sempre insieme. Credetemi quando vi dico che, nonostante siano passati vent'anni, io ancora non riesco a capire come sia stato possibile. Mai avremmo potuto immaginare che, da un giorno all'altro, quegli stessi amici sarebbero diventati i nostri assassini. Non so cos'è scattato all'improvviso nelle loro teste”. Così, in poche parole, Reja – che ancora cerca il corpo del marito – spiega il repentino cambiamento dei serbi bosniaci nei confronti dei bosgnacchi, come vengono chiamati i musulmani di Bosnia. Un'esperienza, questa, che accomuna tante donne, tutte ancora incredule.

Nessuna di loro vive più nella propria casa, nei villaggi d'origine dai quali sono dovute scappare per provare a sfuggire all'avanzata serba. Chi riusciva andava a Srebrenica che, nel 1993, era stata dichiarata zona protetta dall'Onu. In breve tempo, invece, la città si trasformò in una sorta di lager. La gente era troppa, non c'era più spazio per ospitare i profughi. Mancavano acqua, cibo, medicine e i serbi sferravano attacchi dal cielo lanciando granate. Tutto questo fino all'undici luglio del '95, quando i serbi entrarono in città.

Dopo la guerra, in pochi sono tornati a casa. “Per un bosgnacco è ormai impossibile vivere in luoghi come Srebrenica o Bratunac. Oggi in queste città, dove prima si conviveva pacificamente, vivono quasi solo serbi, molti di loro ultranazionalisti. Torna solo chi non ha altra scelta”. Dice Nura che, nel massacro, ha perso il suo unico fratello. “È stata una fortuna avere solo figlie femmine, se avessi avuto dei maschi me li avrebbero uccisi – continua Nura. Hanno cancellato un'intera generazione; risparmiavano solo i bambini più piccoli”.

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