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Ferrero su Calvino a 100 anni nascita

Ferrero su Calvino a 100 anni nascita

lo scrittore raccontato dall'amico come persona e nei suoi libri

ROMA, 15 ottobre 2023

Redazione ANSA

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(di Paolo Petroni) ERNESTO FERRERO, ''ITALO'' (EINAUDI, pp. 224 - 19,00 euro) - Agilulfo, 'Il cavaliere inesistente', ''è un autoritratto'' di Italo Calvino, scrive Ernesto Ferrero, ''che tende a farsi vedre il meno possibile'' e scomparire nella scrittura, in cui vive ''l'unica vita che davvero conta''. Così oltre venti anni dopo, ecco che è ''impossibile distinguere Italo dal signor Palomar'', e spiega che lo scrittore ''non può vivere senza problemi da risolvere'' e vorrebbe diventare solo ''una finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo'' eliminando ''quella macchia di inquietudine che è la nostra presenza''. E' lo stesso Calvino del resto a dire ''non troverete nulla'', rivolgendosi a chi in futuro avesse voluto indagare su di lui. Ed è proprio la sfida che accetta Ferrero, che fu suo amico e lavorò con lui alla Einaudi, scrivendone questa biografia attraverso i libri per celebrarne i cento anni dalla nascita il 15 ottobre 1923, indagando dati famigliari, amori (da quello complcato con l'atrice Alba De Cespedes a l'incontro fulminante con Chichita che divenne sua moglie), fatti di lavoro, di impegno politico, ma soprattutto quelle storie in cui ha cercato di sparire.
    Si potrebbe legare a tale cercar di vivere solo in trasparenza della propria scrittura quella sua idea di leggerezza, tema della più celebre delle sue 'Lezoni americane', quasi ormai uni suo marchio, ma sin dall'uscita postuma di quei testi, Calvinò morì il 19 settembre 1985, ci fu, come Alberto Arbasino, chi scrisse: ''Calvino non era affatto leggero. Era molto serio, laborioso, parsimonioso,industrioso, assorto, concentrato, moderato, indaffararto, calcolatore, misurartore, come tutti i migliori liguri''.
    Detto questo, bisogna però ricordare come Calvino fosse uno scrittore sempre attento al suo lavoro, sul quale rifletteva di continuo, come testimoniano le tante citazioni che Ferrero fa da suoi saggi, interviste, note, che, è stato scritto, formano una sorta di autobiografia senza Io, che è in realtà in tutti i suoi personaggi, dal 'Visconte dimezzato' al multiforme Qfwfq delle 'Cosmicomiche' e sino a 'Palomar'. ''Un prisma rotante'' che non consente''una visione completa e stabilizzata'', come scrive MARIO BARENGHI in ''ITALO CALVINO'' (IL MULINO, pp. 160 - 14,00 euro) appena riproposto in edicola dal Corriere della sera.
    E' quel che Ferrero ci fa ben capire, alla fine raccontandoci la persona, inscindibile dallo scrittore e la sua evoluzione, da quando scrive ''La vita è triste e senza senso'', dopo il rifiuto di Einaudi di pubblicare i suoi primi racconti, con Pavese che lo definisce ''scoiattolo della penna'', sino a quando, come Palomar, ''ha sempre fatto in modo di non incontrarsi con se stesso faccia a faccia'' sentendo che ''invece di inoltrarsi nelle galassie, di ridurre il mondo a geometrie stilizzate, avrebbe dovuto lavorare alla propria pace interiore. Una pace impossibile... sterile, improduttiva per uno scrittore che si è sentito vivo solo nelle opposizioni. Italo è l'uomo del moto perpetuo che corre sempre davanti a tutti e antivede quello che gli altri non riscono nemmeno a immaginare''. Anche sul piano pratico, come quando viene affascinato dai primi computer durante un viaggio in America nel 1959 o quando intuirà che un giorno ci sarà una macchina capace di scrivere da sola, come fa oggi l'Ia.
    Una vita che si svolge principalmente tra Torino, dove ha sede l'Einaudi con i vecchi amici, e poi, dal 1967 al 1980, Parigi, città enciclopedica che gli è congeniale, come nota Ferrero. Luogo di grande vivacità intellettuale, come ce la racconta con sguardo analitico e sintesi panoramica FABIO GAMBARO in ''LO SCOIATTOLO SULLA SENNA'' (FELTRINELLI, pp. 170 - 18,00 euro) mettendo in rilievo i fatti, a cominciare dal '68, e le persone che frequenta e che gli aprono nuove possiblità di pensiero e creative, come deduce dalle novità dei tre romanzi scritti in quegli anni: 'Le città invisibili', 'Il castello dei destini incrociati' e 'Se una notte d'inverno un viaggiatore'.
    Essenziale è la frequentazione del gruppo dell' Oulipo, con la sua vena creativa, ironica, provocatoria ma rigorosamente formale, da Queneau a Perec, ma poi Barthes, Lacan e Levi Strauss e lo strutturalismo, e scrittori di ogni tipo, da Robbe-Grillet a Cortazar sino a Kundera, simile a lui per molti versi, che Ferrero annota, ricordando che però i due a cena non riuscirono a scambiarsi nemmeno una parola, nell'imbarazzo generale e di Chichita.
    Uomo silenzioso infatti, che si cela nel vuoto creato da quei contrasti e contrapposizioni su cui ha sempre lavorato, come dimostrano i suoi romanzi e certifica un suo appunto in cui si legge: ''1- stile come modello universale vs stile come singolarità individuale; 2- il Tutto vs Parte; 3- gli Altri vs Io; 4- disordine vs ordine; 5- Mercurio vs Vulcano; 6- compatto vs fluido.'' E poi una lucida, pardossale coscienza di chi è di un disincantato pessimismo bilanciato da una vena umoristica e sostiene che ''L'arte di scrivere storie sta ne saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci si accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla''.
   

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