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Coniglio, Aiutateci a casa nostra

Coniglio, Aiutateci a casa nostra

Perché integrazione conviene a italiani e non solo a immigrati

ROMA, 27 agosto 2019, 19:17

Redazione ANSA

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Aiutateci a casa nostra di Nicola Daniele Coniglio - RIPRODUZIONE RISERVATA

Aiutateci a casa nostra di Nicola Daniele Coniglio - RIPRODUZIONE RISERVATA
Aiutateci a casa nostra di Nicola Daniele Coniglio - RIPRODUZIONE RISERVATA

 NICOLA DANIELE CONIGLIO, "AIUTATECI A CASA NOSTRA. PERCHE' L'ITALIA HA BISOGNO DEGLI IMMIGRATI" (Editori Laterza, pp.138, 14 Euro) - Né "aiutiamoli a casa loro" né tantomeno parliamo di "un mondo senza frontiere", perché se c'è un fenomeno da affrontare con le proverbiali vie di mezzo è proprio quello dell'immigrazione: tra proclami populisti che mirano alla pancia e slogan romanticamente irragionevoli dei 'no borders', si leva la voce intelligente e imparziale di Nicola Daniele Coniglio, professore di Politica economica all'università di Bari, autore per Laterza del saggio "Aiutateci a casa nostra. Perché l'Italia ha bisogno degli immigrati".
    Un'analisi chiara e sintetica, che presenta i risultati di molte ricerche scientifiche sul tema, e che è utile per comprendere l'immigrazione da un punto di vista economico, a patto però, ammonisce Coniglio, che si sia disposti a spogliarsi di ogni "lente ideologica". Immigrati che ci rubano il lavoro, che abusano del welfare, che rallentano l'economia, che potremmo arginare se solo costruissimo muri o bloccassimo tutte le navi in arrivo nei nostri porti; o al contrario apertura indiscriminata delle frontiere, come se ogni paese potesse accogliere un numero illimitato di stranieri, senza ripercussioni a livello economico e sociale: sono tanti i luoghi comuni che, numeri alla mano, l'autore demolisce nel libro, in pagine piacevolmente cariche di buon senso. Basterebbe conoscere la realtà economica, la sua variabile complessità e il funzionamento dei suoi sistemi (e qui il professore si rivolge ai politici) per provare a governare un fenomeno inarrestabile, con il quale conviene (a noi e agli immigrati) fare i conti nel modo più equilibrato possibile.
    Innanzitutto analizzando i dati si comprende che gli immigrati non solo non tolgono opportunità lavorative agli italiani (anzi svolgono lavori spesso faticosi e mal pagati che i nativi non fanno), ma aumentano la domanda di beni e servizi con la loro permanenza, fungendo da stimolo per l'economia del paese ospitante. Il problema semmai è chiedersi perché l'Italia riesca ad attirare solo immigrati a bassa qualifica professionale, e non chi è molto preparato: questo accade sia per via della nostra posizione geografica (siamo vicini a paesi con bassi tassi di istruzione terziaria), sia perché la nostra economia è "sbilanciata verso settori tradizionali e a bassa intensità tecnologica". Un elemento quest'ultimo che, a differenza della geografia, potrebbe essere modificato con adeguate politiche. Se poi ci si chiede quale sia il bilancio tra entrate e uscite (quanto gli immigrati contribuiscono al sistema italiano e quanto invece sottraggono), Coniglio fornisce la risposta: 18,7 miliardi di euro l'apporto contributivo e fiscale da parte degli stranieri, mentre è di 16,6 miliardi di euro la spesa sostenuta dal paese, con un saldo positivo pari a 2,1 miliardi di euro.
    Quello su cui l'autore pone l'accento è la necessità di attuare al più presto vere politiche di integrazione, la cui mancanza "genera categorie sociale artificialmente costruite ('noi', i nativi, e 'loro', gli immigrati); il risultato è il lento logorio del collante su cui si fonda il patto che regge il welfare state: la coesione sociale". Che fare dunque? Una strada giusta per Coniglio potrebbero essere gli schemi di immigrazione temporanea (con visti temporanei di soggiorno a un numero definito di lavoratori stranieri), il sistema a punti in entrata che garantisce una selezione di base e un controllo sugli ingressi e il sistema a punti in itinere per premiare i comportamenti positivi, o ancora gli schemi di incentivo finanziario alle migrazioni di ritorno: nella convinzione che il nostro sarà un "futuro di immigrazione.
    Possiamo decidere se trasformare questo flusso in risorse importanti per consolidare e accrescere il nostro benessere oppure incrementare l'esercito di irregolari", scrive.
   

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