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Sgarbi e i tesori dimenticati del '900

Sgarbi e i tesori dimenticati del '900

L'ultimo tomo della storia dell'arte del critico ferrarese

ROMA, 05 aprile 2019, 14:09

Silvia Lambertucci

ANSACheck

VITTORIO SGARBI, IL NOVECENTO - RIPRODUZIONE RISERVATA

VITTORIO SGARBI, IL NOVECENTO - RIPRODUZIONE RISERVATA
VITTORIO SGARBI, IL NOVECENTO - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il primo capitolo, sei pagine e diverse illustrazioni, è tutto per il lombardo Gianfilippo Usellini, "pittore dei sogni", come lo definisce lui, un artista che pochi forse oggi ricordano, ma che è stato "unico", dice, nel raccontare con i pennelli "favole che sono la ragione sottile della realtà". Le ultime pagine sono per Piero Guccione "guardiano del faro che presidia il reale osservando l'ultimo orizzonte". Con il secondo volume dedicato al Novecento, Vittorio Sgarbi porta a compimento l'impresa di raccontare una sua personalissima storia dell'arte italiana, quella collezione di tesori del Belpaese che cominciò nel 2010 con L'Italia delle meraviglie, e che lo ha visto poi in libreria, a cadenza quasi annuale con tanti altri volumi dall'epoca di Giotto fino alla quasi contemporaneità. La cifra è sempre la stessa, un racconto appassionato, intessuto delle scelte e degli amori del critico, che se non ignora i nomi iconici, quelli da sempre riconosciuti dai manuali, prende come una missione quella di soffermarsi sugli autori meno noti o meno ricordati, i tanti che se non sono stati protagonisti hanno comunque rappresentato "il telaio storico culturale dell'arte", come ricorda nell'introduzione Italo Zannier.
    E se la scelta era evidente anche negli anni più affollati di artisti che il critico ferrarese, allievo di Arcangeli e di Longhi, sentiva più vicini, l'idea di accendere un riflettore su aspetti più remoti di quest'avventura del genio italiano è ancora più evidente ora che è chiamato a parlare del Novecento.
    "Per Vittorio Sgarbi l'arte ubbidisce al suo fine se è poesia, e la poesia è qualcosa che una volta corteggiava il sublime e che oggi lui (Sgarbi) chiama anima", suggerisce introducendo a sua volta Angelo Guglielmi. E' un po' così, è vero. Nel raccontarci l'arte, passione di una vita condita di tante iperboli, il critico sembra seguire proprio il criterio della poesia, o almeno quella che a lui arriva come tale, che ritrova e recupera a tutto uso dei suoi sbadati contemporanei nelle pennellate sapienti di uno come il bergamasco Romualdo Locatelli, geniale ma in qualche modo estraneo già al suo tempo, morto giovane nelle Filippine invase dai Giapponesi (era il 1943). Oppure negli interni domestici dai titoli e dal sapore pascoliano di Giuseppe Ar, pittore di Lucera che lui racconta di aver scoperto fortunosamente anni fa nelle pause dai lavori parlamentari.
    Racconta Lucio Fontana, riavvicinandolo ad Antonello Da Messina ("L'astrazione non è solo novecentesca" ammonisce citando Arcangeli), si sofferma sulla genialità di Piero Manzoni e dei suoi Achrome "per i quali meriterebbe di essere ricordato più che per la merda d'artista". Dedica un capitolo ai protagonisti dell'Informale, in prima linea Burri. Si appassiona nello scrivere di Osvaldo Licini e della sua pittura così mentale, quasi un misticismo senza dio. E poi si commuove, di una commozione che trascina, di fronte al ritratto della figlia dormiente realizzato in ceramica dal siculo-veneto Andrea Parini. Spende parole per Antonio Ligabue, la cui opera, dice, sarebbe "opportuno incominciare a studiare", cita Guttuso, al quale non nasconde di preferire il meno celebrato Ennio Morlotti. Non dimentica architettura e design, con la citazione di alcuni grandi, anch'essi a loro modo poetici, come Gio Ponti e Giovanni Michelucci (quello della chiesa sull'Autostrada del Sole e della stazione di Santa Maria Novella a Firenze). Poi anche Renzo Piano e Alessandro Mendini, Aldo Rossi, Fuksas, fino alla poesia dell'assoluto di Cremonini, Ferroni, Gnoli e appunto Guccione.
    I criteri che hanno mosso la selezione, del resto, li chiarisce lui stesso quando definisce i suoi volumi "carsici": "In questo come nel precedente, io indico molte vite eccitate dalla comunicazione, a fianco di artisti straordinari invece abbandonati e dimenticati. Non ho seguito ideologie, sentimenti, emozioni e passioni personali, ma ho cercato di garantire a ogni artista lo spazio che merita. La notorietà spesso non indica il valore e il mio compito è stato quello di far emergere in questo secolo così complesso, così breve e così ricco, una quantità di autori dimentica- ti, che rappresentano la parte più suggestiva di questo percorso". La lettura, anche per non addetti al lavoro, scorre veloce. Ed è facile immaginare che anche questa parte del racconto, come già è stato per Leonardo, finisca sulle tavole di un palcoscenico.
   

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