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Punturello e la Sinagoga di Napoli

Punturello e la Sinagoga di Napoli

Un rabbino partenopeo e le tante identità ebraiche

GERUSALEMME, 26 aprile 2018, 10:16

Massimo Lomonaco

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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PIERPAOLO PINHAS PUNTURELLO:'NAPOLI, VIA CAPPELLA VECCHIA 31'(SALOMONE BELFORTE & C; PP.99; 14 EURO). All'indirizzo del titolo, "nel cuore di un vicolo tra il mare e Montedidio, tra Piazza dei Martiri e Pizzofalcone", si trova la sinagoga di Napoli. Chi non la conosce, napoletani compresi, potrà farsene un'idea, o una fotografia molto vicina alla realtà, leggendo questi nove racconti scritti da un giovane rabbino partenopeo. Nelle sue storie c'è un connubio straordinario tra due realtà apparentemente lontane e invece assolutamente vicine: Napoli e l'ebraismo. Entrambe, ha spiegato Punturello in una recente presentazione del suo libro a Gerusalemme, sono "paradigmi consapevoli o inconsapevoli di una identità universale". In questa assonanza condividono - a leggere le storie del rabbino e ad ascoltare le sue ricostruzioni - una sorta di perenne nostalgia per un mondo, in molti casi, perso e vagheggiato nel ricordo reso più vivo dall'orizzonte della propria identità. Che sia, per i partenopei, il dialetto lingua comune (come mai altrove) per il popolo e la nobiltà o i mille idiomi caratteristici invece dei tanti ebrei arrivati nel corso della storia a Napoli e diventati subito cittadini. Nel racconto '15 dicembre 1939' c'è una bellissima rappresentazione di questa comunanza basata sulla diversità. Il tassista - che in quei tempi di odio e di persecuzione - accompagna il giovane protagonista ebreo per un'ultima visita a Via della Cappella Vecchia 31 gli dice: "Signurì, ma questo è il palazzo della chiesa degli ebrei?". E ancora "Signurì, buona fortuna a voi che partite e pure a noi che restiamo, stringetemi la mano, signurì, la Madonna v'accompagni". Sembra di vedere i due, fermi davanti a quel vecchio palazzo del '500, nobile e decaduto, in un saluto che sa per per tutti e due di un legame spezzato dal pregiudizio e dall'odio altrui. E si può scorgere sul volto di entrambi quella "lieve tristezza celata dietro un sorriso, come sanno fare solo i napoletani": una bella definizione usata da un altro ebreo partenopeo, Giacomo Khan, e richiamata come omaggio dall'autore nella presentazione del libro. Nè appare un controsenso il fatto che il rabbino Punturello abbia sostenuto che Napoli lo abbia salvato "da un'ortodossia ottusa". Al contrario, c'e' invece molto di una religiosità profondamente ebraica. Nei 9 racconti scorre anche la biografia dell'autore e non è difficile scoprire le pagine dove è disseminata, a partire da 'Havdalà', il testo che più rispecchia il percorso compiuto da Punterello. Nello scambio, non del tutto dichiarato, di oggetti e regali tra un padre cattolico e un figlio che ha deciso di diventare ebreo, non c'è solo l'omaggio tra due individui, pur legati tra loro, ma un'intera famiglia partecipe di una scelta di vita di uno dei suoi componenti. Declinare l'ebraismo ha molte facce, tante quante sono le identità che si nascondono in una città come Napoli, anche basandosi sulla capacità di "resistere al mondo degli altri", nell'essere "a difesa di un confine", come dice Punturello.
   

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