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Uno jihadista su lettino psicanalista

Uno jihadista su lettino psicanalista

Tra proiezione e archetipi indagine Nella mente di un terrorista

MILANO, 19 settembre 2017, 10:25

Redazione ANSA

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(di Gioia Giudici) LUIGI ZOJA 'NELLA MENTE DI UN TERRORISTA' (EINAUDI - PP 104. EURO 12,00) - Concetti come nevrosi e archetipi, paranoia e cupio dissolvi per capire l'Isis: c'è uno jihadista sul lettino dello psicanalista nell'interessante volume 'Nella Mente di un terrorista', una conversazione dello junghiano Luigi Zoja con il giornalista italo-algerino Omar Bellicini, pubblicata da Einaudi nella collana Le Vele. Al centro della conversazione, le motivazioni che spingono un giovane a radicalizzarsi. Tutto questo con un'avvertenza di Zoja: "Comprendere non è giustificare. Fa più rima con riflettere che con il verbo accettare. Bisogna capire cosa abbiamo di fronte". A essere analizzati sono alcuni degli elementi ricorrenti tra i militanti, a partire - racconta Bellicini - dalla ricerca ossessiva dell'identità, tanto tra gli ex appartenenti del partito Baath di Saddam che si sono ritrovati in minoranza nel loro paese, perdendo i loro riferimenti psicologici, quanto tra i giovani di seconda e terza generazione, non perfettamente integrati dal punto di vista sociale, che vedono il radicalismo come risposta a un'identità fragile. Non a caso "l'altro elemento ricorrente è la giovane età dei militanti, in età evolutiva si è più esposti ai messaggi della propaganda e, per usare termini junqhiani, nel campo degli archetipi il mito dell'eroe ha facile presa in una società antieroica come quella occidentale". Il martirio come eroismo portato alle estreme conseguenze ha a che fare anche con la 'cupio dissolvi' giovanile, quell'istinto di morte che fa parte della natura umana e che può portare un ragazzo all'incontro con la droga, alla ricerca del rischio o a rimanere sedotto dalla propaganda. Tutto questo in una società dove non esiste più la figura del padre, intesa in senso psicanalitico come colui che pone un limite. Ne è prova - riflette Bellicini, ricordando casi di cronaca come i Kouachi dell'aggressione a 'Charlie Hebdo', gli Abdeslam degli attacchi di Parigi, gli Tsarnaev dell'attentato di Boston - la nascita della società dei fratelli, la comunità orizzontale che trova nel coetaneo un complice con cui vivere l'atto di eroismo. Nel libro, ampio spazio è dato anche alle nuove tecnologie, con un punto di partenza ben preciso: "Zoja sottolinea che la tecnologia non è neutra: una ricerca di Harvard su 16 mila persone dimostra che chi ha rapporti filtrati solo dalle nuove tecnologie e ha meno rapporti umani diretti, nel tempo ha un indebolimento delle facoltà intellettuali e non riesce più a filtrare le notizie. Si pensa inoltre che tutto ciò inibisca la risposta morale, e questo succede anche con la propaganda politica, che online porta ad abbassare la guardia". Il cuore della teoria junghiana - ricorda Bellicini - è la proiezione: ciò che di negativo nego in me lo proietto su un altro che individuo come diverso. Un freno a questa tendenza è l'integrazione, il sentirsi parte di una comunità in cui ci si riconosce. Ma i social consentono di crearsi una realtà parallela in cui l'immigrato resta connesso alla sua realtà di partenza e l'autoctono si crea una sorta di bolla. Ecco così la proiezione e la deresponsabilizzazione: "più l'altro è distante da me per costumi, modi e linguaggio più incarnerà l'ombra che mi appartiene ma che cerco di gettare su di lui come una croce".
    Tutti proiettiamo, il problema è quando diventa una nevrosi collettiva e l'ombra diventa sempre più grande, facendoci dimenticare - nota Zoja - che "sul territorio italiano il numero di vittime del terrorismo islamico negli ultimi anni è rimasto sostanzialmente a zero. Secondo l'Agenzia europea per l'Ambiente, invece, nel solo 2012 il numero dei morti per la sola cattiva qualità dell'aria ha superato in Italia le 83.000 unità". Perché dunque occuparsi di terrorismo islamico? "Esso è estremamente attuale. Costituisce infatti - spiega lo psicanalista - il maggior pericolo non per l'esistenza fisica, ma per l'equilibrio psichico del cittadino comune". Equilibrio che potrebbe lentamente venir ripristinato - concludono gli autori - da consapevolezza e cultura, le uniche luci che possano rischiare l'ombra.
   

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