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Di Pietrantonio, ero la ritornata

Di Pietrantonio, ero la ritornata

'L'Arminuta' straniera a casa sua e alla ricerca di radici

ROMA, 01 giugno 2017, 11:58

di Paolo Petroni

ANSACheck

L 'Arminuta - RIPRODUZIONE RISERVATA

L 'Arminuta - RIPRODUZIONE RISERVATA
L 'Arminuta - RIPRODUZIONE RISERVATA

   DONATELLA DI PIETRANTONIO, ''L'ARMINUTA'' (EINAUDI, pp.164 - 15,50 euro) - Dopo tanti romanzi sulla paternità o il rapporto col padre eccone uno che potrebbe sembrare ispirato alla maternità e il rapporto con la madre, ma che è piuttosto una vicenda sull'umanità delle persone che alla fine arriva anche superando le corazze che spesso la nascondono, che dà forza, dolore e serenità a una storia di formazione legata al sentimento di estraneità e d'identità in rapporto con le proprie radici, tanto più importante in quanto alla giovane protagonista vengono recise violentemente ben due volte, appena nata e poi adolescente. L'Arminuta del titolo nell'Abruzzo in cui tutto si svolge vuol dire la Ritornata, ovvero colei che, dopo essere stata a sei mesi trasferita dalla sua povera famiglia senza tante storie, per troppa miseria, a una coppia di parenti lontani che non potevano avere figli, a tredici anni viene improvvisamente rimandata, senza spiegazioni, alla famiglia d'origine. Ed è da questo momento che noi ne seguiamo la storia, sconosciuta tra sconosciuti che arriverà a riconoscersi.

    La qualità del romanzo non è solo nell'analisi asciutta dei sentimenti, di una dolorosa alterità, nella fedeltà a se stessa per non perdersi e nel non rinunciare a capire, ma nella scrittura con cui è narrata, scabra, diretta, quasi concreta e con una verità di sentire che coinvolge evitando ogni retorica, ancorandosi ai fatti che contengono in sé i sentimenti e una naturale forza vitale. Basta l'inizio, con quella mancanza di accoglienza, quell'unica frase che la madre vera che lei non conosce le rivolge quando entra, introdotta da una sorella più piccola che non aveva mai visto. ''Sei arrivata'', che vuol essere evidenza di un'attesa e accoglienza, vuol dire naturalezza e accettazione della fatalità della vita,così come verrà spartita con lei con naturalezza la poverissima cena (che dovrà abituarsi a difendere e mangiare rapida, prima che qualcun'altro faccia sparire anche la sua parte) e verrà infilata nel letto della sorella Adriana, stando con la testa dove l'altra ha i piedi ''freschi di sapone scadente'', che per l'occasione si è lavata: ''Ogni sera mi prestava una pianta di piede da tenere sulla guancia. Non avevo altro, in quel buio popolato di fiati''. C'è infatti naturalmente un padre, due fratelli più grandi, Vincenzo e Sergio, e uno molto più piccolo e con dei problemi, Giuseppe. Il fatto è che questa ragazzina, studiosa e ben abituata, arriva da una vita tutta diversa, protetta, di buoni cibi e attenzioni affettuose, tra lezioni di danza e ore di piscina, pomeriggi con l'amica del cuore Patrizia, e che tutto le è stato tolto d'improvviso, senza che la mamma adottiva Adalgisa le facesse capire la ragione, che scopriremo con lei solo alla fine. La protagonista, per molti versi non accetterà mai sino in fondo le nuove condizioni, fedele alle prospettive della sua altra vita che paradossalmente ritroveranno vigore in quella nuova e di ottimi risultati a scuola che la porteranno, lei sola, a essere mandata alle superiori nella cittadina dove aveva sempre vissuto, ma pian piano si adatterà, trovando in Adriana un'amica dedita, primitiva e tutta istinto e affetto, una complice, dopo che Vincenzo, il fratello grande e sconosciuto con cui stava nascendo un rapporto ambiguo da insopprimibile confusione adolescenziale, muore in un incidente e Sergio le si mostra ostile. La nuova dimensione ha una sua sostanza tutta naturale, di vita che scorre ed è quello che è, forte solo di una sua intrinseca umanità (accettazione quasi contrapposta agli egioismi e rifiuto della famiglia più benestante) in cui affetti e amicizia ci sono e, pur come trattenuti, si rivelano nei momenti necessari. Ed è questa forza che dà leggerezza e positività a una vicenda altrimenti solo dolorosa, e che si fa invece così esemplare e intensa da vivere come fuori del tempo (siamo nella seconda metà degli anni Settanta) come forse lo era allora, ancora, un paesino abruzzese, puntando, tra nostalgie, spaesamenti e illusioni, sulla scoperta dell'importanza di non dimenticare la propria dignità e di non scoprirsi soli: ''Mia sorella - si dice la protagonista alla fine - Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. da lei ho appreso la resistenza. Ora ci assomigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate''.
   

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