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Le lezioni di televisione di Enzo Biagi

Le lezioni di televisione di Enzo Biagi

A 10 anni da morte esce raccolta sue critiche su piccolo schermo

ROMA, 10 marzo 2017, 11:04

di Francesca Pierleoni

ANSACheck

La copertina di 'Lezioni di televisione ' di Enzo Biagi - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina di  'Lezioni di televisione ' di Enzo Biagi - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina di 'Lezioni di televisione ' di Enzo Biagi - RIPRODUZIONE RISERVATA

'ENZO BIAGI - LEZIONI DI TELEVISIONE' a cura di Giandomenico Crapis (RAI ERI, PP. 172, 16 EURO). Oltre ad essere stato uno dei padri e simboli del giornalismo televisivo, e non solo, Enzo Biagi, poco più che trentenne, del piccolo schermo ha anche scritto per Epoca (di cui era da poco diventato direttore) come critico pungente, ironico, ricco di humour e sempre dalla parte dei telespettatori, registrando ed evidenziando i cambiamenti del Paese. Recensioni, riflessioni, analisi, e anche qualche polemica che ritroviamo in Enzo Biagi - lezioni di televisione (Rai Eri), a cura di Giandomenico Crapis, con la prefazione di Bice Biagi. E' un viaggio affascinante nell'Italia che si riuniva per vedere Lascia o Raddoppia, dove i pluricampioni del Musichiere o le signorine buonasera diventavano idoli nazionali e la censura, uno dei bersagli preferiti del giornalista, colpiva senza ritegno, sotto pressione della politica (già troppo presente, secondo Biagi, in tv): dal divieto di usare parole come ebbrezza o separé all'aver tagliato in un'inchiesta la risposta di una contadina che rivelava di mangiare carne solo una volta a settimana. Biagi, che inizia la rubrica nel '56, qualche anno dopo, nel 1961, diventa in Rai, il direttore del telegiornale, proprio con il compito di svecchiare e di avvicinare più alle persone il racconto delle notizie.
    ''Dagli articoli - ha spiega alla presentazione del libro Antonio Padellaro - emerge che Biagi era già Biagi. Era moderno in un'epoca in cui il giornalismo non aveva ancora capito quanto la televisione riflettesse il cambiamento del Paese". Padellaro che per il nome del quotidiano che ha fondato, si è ispirato proprio a una delle trasmissioni simbolo di Biagi, Il fatto, reputa il giornalista ''un maestro. Suo elemento costitutivo è stata la fiducia che ha saputo instaurare con milioni di spettatori. Il ''l'ha detto Biagi', era garanzia di verità e autorevolezza. La fiducia non era solo nel grande giornalista indipendente, gelosissimo della propria autonomia ma anche nella cura in tutto quello che faceva. Questo rapporto si è perso.
    Quale personaggio oggi ha lo stesso valore? E senza quella fiducia la democrazia, come vediamo, qualche problema inizia ad averlo''. Contrariamente all'immagine comune, "Biagi non era affatto mite, aveva un caratteraccio ma era un uomo di grandissima disponibilità - Ricorda Loris Mazzetti suo collaboratore fino all'ultimo -. Per le sue trasmissioni arrivava alle 9 e andava via dopo la messa in onda serale, e a volte si continuava a lavorare a casa sua. Molti suoi programmi, come Linea diretta, hanno rivoluzionato la tv. Senza non ci sarebbe stato Report. Diceva sempre 'noi possiamo avere degli amici, ma il programma non è amico di nessuno''' . Sono "dieci anni che è morto, spero che questo libro sia l'inizio di un percorso della Rai per ricordarlo come merita''. ''Biagi non è stato abbastanza difeso'' secondo Roberto Zaccaria, che era stato presidente della Rai, fino a poco prima del cosiddetto 'editto bulgaro' di Berlusconi del 2002, che porta all'allontanamento dall'azienda pubblica del giornalista (insieme a Michele Santoro e Daniele Luttazzi), dove torna con un suo programma, Rt solo nell'aprile 2007, qualche mese prima della morte. ''Biagi ha amato tanto la tv, ma non è stato ripagato, spero ora lo si potrà fare''. Crapis, che ha scoperto per caso gli articoli sulla tv di Biagi li definisce ''pezzi di commedia umana, pieni di sensibilità e ironia, scritti da uno dei più grandi giornalisti del secolo. Un aspetto sconosciuto a molti, anche agli addetti ai lavori, che meritava di essere raccontato''.
   

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