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Paolini, Il crepuscolo degli chef

Paolini, Il crepuscolo degli chef

L'allucinazione mediatica da cibo nell'era del food porn

ROMA, 30 novembre 2016, 11:48

di Marzia Apice

ANSACheck

La copertina de Il crepuscolo degli chef di Davide Paolini - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina de Il crepuscolo degli chef di Davide Paolini - RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina de Il crepuscolo degli chef di Davide Paolini - RIPRODUZIONE RISERVATA

   DAVIDE PAOLINI, IL CREPUSCOLO DEGLI CHEF. GLI ITALIANI E IL CIBO TRA BOLLA MEDIATICA E CRISI DEI CONSUMI (Longanesi, pp.214, 16.40 Euro). Un buon 'impiattamento', il ristorante gourmet, l'hamburgheria e l'apericena, il fingerfood e lo streetfood, i cuochi come rockstar. E poi i prodotti a km zero e quelli gluten-free, il cioccolato temperato e il 'quinto quarto'. E come dimenticare la carbonara destrutturata, l'azoto liquido e 'l'aria di rosmarino'? Se si parla di cucina, anche l'uomo della strada ha ormai a disposizione un vocabolario degno di un intenditore, o perché no, di uno chef. Eppure quello che stiamo vivendo in questi anni può essere definito un vero "analfabetismo gastronomico".

E' quanto ci dice il giornalista 'gastronauta' Davide Paolini, autore per Longanesi del libro Il crepuscolo degli chef, un vero atto d'accusa contro la cucina-spettacolo e quella che chiama 'la grande orgia da cibo alla quale stiamo assistendo'. Nonostante l'onnipresenza in tv di chef e programmi sulla cucina (capitanati dal talent Masterchef), il proliferare di specialisti di alimentazione, l'abbondanza di librerie che straripano di ricettari e guide dei ristoranti, il food planet non se la passa poi così tanto bene. Almeno secondo i numeri riportati da Paolini: i consumi alimentari in calo dal 2007, il saldo negativo dei consumi delle famiglie nella ristorazione (-6.1 miliardi di euro, a valori concatenati al 2010) e quello, sempre negativo, tra aperture e cessazioni dei locali di servizio di ristorazione (-10.290 nel 2014, dati Fipe), i piccoli negozi di alimentari che chiudono.

Non è vero che mangiamo di più e meglio, nonostante lo storytelling di un cibo continuamente scritto, fotografato, condiviso sui social. Senza contare poi il danno economico dovuto alla mancanza della Gdo italiana nel mondo, con la conseguente incapacità di contrastare il fastidioso fenomeno dei cibi 'italian sounding', ossia quei prodotti che sembrano italiani, ma non lo sono. In quest'ottica, la celebratissima cucina dello Stivale è solo "un marchio che produce cultura gastronomica ma non reddito". Ci troviamo dunque di fronte a una grande 'pornografia gastronomica', nell'era di una inquietante 'allucinazione mediatica da cibo'. Chi ne fa le spese è la nostra storia culinaria, a cui nessuno rende più giustizia. Una speranza potrebbe essere rappresentata dal Food Act, il piano nazionale per la valorizzazione della cucina di qualità varato dal governo Renzi.

Ma non basta: secondo Paolini bisogna tornare a considerare agricoltori, pescatori, mugnai, casari, apicoltori, vignaioli, olivicoltori come primi 'fautori del made in Italy', facendo fare un passo indietro al food per dare più spazio al cibo. Un cibo che deve tornare a essere sinonimo "del mangiare sobrio ma di qualità, di una spesa ricca di ingredienti selezionati, stagionali e non gravati da viaggi intercontinentali, di una serata conviviale e gaudente in una trattoria o in un ristorante dove siano i piatti che escono dalla cucina a essere riconosciuti come star". 

   

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