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Kapllani, migranti hanno sogno, noi no

Kapllani, migranti hanno sogno, noi no

Lo scrittore albanese racconta le "frontiere perdute"

ROMA, 07 settembre 2016, 19:23

Mauretta Capuano

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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GAZMEND KAPLLANI, 'BREVE DIARIO DI FRONTIERA' (del Vecchio Editore, pag. 200, euro. 15,00) Vivono "con un sogno che noi non abbiamo più". E' questa la forza dei migranti ai quali dà voce Gazmend Kapllani in 'Breve diario di frontiera' (Del Vecchio Editore). Lo scrittore albanese, tra i protagonisti del giorno d'apertura del Festivaletteratura di Mantova, è partito dalla sua storia personale per raccontare i confini visibili e invisibili con cui tutti gli immigrati fanno i conti. "Mi fanno paura, li odio e nello stesso tempo li invidio perché hanno un sogno, un ideale che io non ho più" dice la guardiana di frontiera che lo scrittore ha immaginato nel nuovo libro che sta scrivendo. Lo racconta all'ANSA Kapllani, 49 anni, che ha vissuto gli anni dell'isolamento durante il regime comunista nel suo paese prima di andare in Grecia, dove ha vissuto per 23 anni e approdare a Boston dove sta da 4 anni.
    "I miei amici americani - spiega lo scrittore - non capiscono perché per me sia un incubo vedere in tv un candidato presidente come Donald Trump a cui la gente chiede di costruire muri. E' come tornare al passato. Io sono scappato dai muri".
    In 'Breve diario di frontiera', tradotto da Maurizio De Rosa, Kapllani mostra come parlare "delle frontiere significhi parlare della nostra relazione con l'altro". La "sindrome delle frontiere" come lui la chiama, di cui soffre il protagonista del libro nel quale non è difficile riconoscere lo scrittore, "ha una doppia valenza: il mio eroe viene da un paese totalmente isolato, da un periodo della storia europea in cui le frontiere erano invalicabili, il mondo era spezzato in due, est e ovest. Lui, nato in Albania, in un piccolissimo paese balcanico, era isolato dal mondo , un po' come la Corea del nord oggi. Ma, quando quelle frontiere sono cadute è diventato un immigrato e ne ha scoperte altre, ancora più invalicabili e altrettanto definitive per la sua identità". Insomma, "non c'è scampo dalle frontiere" ci dice Kapllani. "Dopo averle varcate scopri di aver idealizzato un mondo perché ti trovi in un posto dove non sei desiderato, dove devi avere dei documenti altrimenti vali meno di un cane randagio e devi imparare una nuova lingua e superare la più grande barriera invisibile: lo sguardo della gente del luogo in cui ti trovi". L'immigrazione albanese, dopo la caduta del regime comunista, ricorda Kapllani "è stata la più drammatica che abbiamo vissuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, come quella dei siriani oggi. Facendo un esame di me stesso, un po' fuori dagli stereotipi, ho voluto raccontare cosa vuol dire essere immigrato nel mondo di oggi. Attraverso la dimensione personale racconto una condizione universale". Sì, perchè "l'immigrazione sarà definitiva per l'identità europea del XXI secolo e sarà un disastro - sottolinea - se pensiamo di potercela fare dividendoci e frammentandoci. Il ritorno alle frontiere del passato, di un mondo perduto, non dobbiamo dimenticare che ci hanno portato due volte verso i suicidio. Il ritorno alle frontiere nazionali sarebbe un grave errore ma la situazione in Europa è molto fragile ma spero che ce la faremo ad avere un mondo nuovo, con più colori" afferma lo scrittore che parla bene l'italiano ed è convinto che la prima frontiera invisibile sia la lingua.
   

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