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Gigi Riva, L’ultimo rigore di Faruk

Gigi Riva, L’ultimo rigore di Faruk

Il rettangolo verde come specchio della guerra in Jugoslavia

ROMA, 23 luglio 2016, 16:33

Marzia Apice

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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GIGI RIVA, L'ULTIMO RIGORE DI FARUK. UNA STORIA DI CALCIO E DI GUERRA (Sellerio, pp.188, Euro 15).

"Il 30 giugno 1990 è un giorno che lancia segnali al mondo che verrà". E non solo perché l'Europa e il resto del pianeta - con il Muro di Berlino caduto da poco, la perestrojka di Gorbaciov, la polveriera dei Balcani, lo sguardo vigile degli Usa - stanno ridisegnando la propria fisionomia sociale, politica ed economica. Ma anche per colpa di un rigore sbagliato, battuto a Firenze, durante i Mondiali di calcio. Sull'intreccio di sport e politica il giornalista Gigi Riva ha costruito il suo ultimo, appassionante libro, "L'ultimo rigore di Faruk", edito da Sellerio, nel quale si ripercorre la storia di Faruk Hadžibegi?, capitano di quella che fu l'ultima nazionale della Jugoslavia unita. La partita vede la Jugoslavia di Stojkovic e Savi?evi?, e del suo allenatore Ivica Osim, detto "il Professore", o "l'Orso", confrontarsi con l'Argentina di Maradona. Ai rigori, Faruk sbaglia il penalty cruciale, che decreta non solo la disfatta sportiva ma anche la disgregazione di un Paese intero sotto i colpi di lacerazioni, nazionalismi, violenze cieche e barbare.

Una guerra nata da subito come fratricida, un conflitto durissimo che con il suo orrore ha segnato irrimediabilmente gli ultimi anni del '900, e i cui primi vagiti erano già emblematicamente rappresentati dai malumori e dalle divisioni interne alla squadra di calcio. Perché in quel microcosmo che è lo spogliatoio di un team sportivo serpeggiavano gli stessi odi etnici tra bosniaci, serbi, montenegrini, croati, sloveni e macedoni, presenti nella terra jugoslava. Scritto con il piglio del cronista (e con l'acume e la conoscenza di chi, come Riva, che fu inviato del Giorno in quegli anni, ha seguito da vicino le guerre balcaniche) e l'abilità narrativa di un romanziere, il libro non solo fa rivivere le tensioni e le contraddizioni di quella terribile pagina di storia, ma dimostra come il rettangolo verde sia stato utilizzato da leader politici quanto meno spregiudicati come terreno per una "prova generale" della battaglia. Del resto calcio e guerra hanno lo stesso linguaggio: si parla di bomber, di assalti, di tiri forti come missili e fucilate, di avversari come nemici. Riva racconta la vita di Faruk, i suoi sogni e le sue ambizioni, ma anche il riflesso di quella di molti suoi colleghi; tanti i dettagli del contesto sociale e politico, che tuttavia non appesantiscono la narrazione, rendendola invece completa e interessante. Fino ad arrivare al clou del libro, alla cronaca di quella partita che l'autore torna a far vibrare con la sua penna felice, e il cui esito negativo alla roulette dei rigori per la Jugoslavia è stato molto di più che un'uscita dal Mondiale. Quel match in una giornata irrespirabile per l'afa estiva ha rappresentato la disfatta, la fine della pace, l'arrivo della morte per moltissimi. E per Faruk l'inizio del rimpianto per aver perso l'occasione, mancando quel rigore, di rivoluzionare le sorti del suo Paese, annullare i nazionalismi e chissà, magari riuscire a evitare la guerra grazie al collante del calcio.

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