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Gimondi, vita Felice 'nonostante' Merckx

Gimondi, vita Felice 'nonostante' Merckx

Biografia di un grande ciclista, eppure anche io ero cattivo

PESCARA, 08 luglio 2016, 11:25

Luca Prosperi

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felice gimondi maurizio evangelista - RIPRODUZIONE RISERVATA

felice gimondi maurizio evangelista - RIPRODUZIONE RISERVATA
felice gimondi maurizio evangelista - RIPRODUZIONE RISERVATA

    MAURIZIO EVANGELISTA, FELICE GIMONDI, DA ME IN POI (MONDADORI, PP 221, EURO 16,90). Due vite in una. La propria, raccontata con una naturalezza e una onestà a volte feroce: e quella dell'altro ego, l'io riflesso, il 'gemello' subìto. Felice Gimondi, 74 anni, ciclista, icona, figurina storica dello sport italiano, ha regalato a Maurizio Evangelista una confessione per certi versi spettacolare, specie quando ammette che ''Per anni ho cercato dentro di lui un bagliore di normalità. L'uomo era, ed è, una persona molto per bene, corretta, rigorosa. Il corridore per contro, era tutto fuorchè normale. La sua fame di vittorie era ingordigia, bulimia. La sua forza prepotente diventava il calmiere delle ambizioni di noi mortali. Noi siamo noi. Lui è Merckx. Mettiamoci il cuore in pace''. E quell'altro io era il Cannibale, l'eterno rivale, l'ego riflesso, Eddy Merckx. Una storia inevitabile, impossibile raccontarla diversamente senza truffare il lettore, tra due che sono amici veri tutt'ora, ma che da pari a pari lo sono stati solo con i piedi per terra e quindi, a maggior ragione, lo sono oggi che di anni ne hanno oltre settanta.
    Felice dice il vero quando afferma che se tra lui e Eddy c'era l'abisso, lo stesso abisso c'era tra lui e gli altri. Solo che come si fa a vivere in questa terra di mezzo che è la vita tra i normali e il dio belga? ''Io forse sarò stato anche un leader cattivo e difficile da trattare, anche un po' rompicoglioni se vogliamo, ma ho sempre cercato di dare l'esempio''. Ecco, anche non concedendosi niente, vita da monaco, facendosi trovare sempre pronto semmai ''l'altro'' avesse un giorno storto. Vita crudele e non Felice, ma poi si scopre che Gimondi è gratificato oggi dal fatto che ''dovremmo ricordarci più spesso che non contano solo le vittorie. Conta anche il modo in cui le ottieni e il modo in cui gestisci il successo. Se non dai rispetto, e se non ottieni quello degli altri, è tutto molto aleatorio, e non ti basterà per vivere una vita soddisfatto di quello che sei''.
    Ha vinto comunque tantissimo Gimondi, anche con Merkx tra i piedi, e oggi è davvero l'ultima icona amata del ciclismo italiano, persona deliziosa e amabile. Da quel lontano 1965 quando vinse il Tour de France a 23 anni ad oggi la sua storia racconta tutti i corridori che ha conosciuto, da Anquetil a Hinault, da Van Loy a Bugno, con un'ultima dolorosa nota su Marco Pantani, tragedia che non ha mai digerito: ''Io non so perchè Pantani sia caduto in errore, ma sono sempre portato a pensare che la verità sia più semplice di quel che sembra e lontana da ogni tipo di dietrologia. Non capivo quel ragazzo e lui non faceva niente per farsi capire''. Ma soprattutto: ''troppo chiuso e introverso, dunque incapace di condividere le ansie e le paure, i disagi che un grande campione si trova a vivere'', poi ''non ascoltava i consigli e i pareri degli altri.
    Ha consentito che sulla sua vita e di conseguenza sulla sua morte venissero costruite le congetture più improbabili''.
   

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