SHIRIN EBADI, Finché non saremo liberi. Iran, la mia lotta per i diritti umani (Bompiani, pp.254, 18 Euro). Non smette mai di raccontare la bellezza del suo Iran, neppure mentre ricorda le tante volte in cui i suoi diritti di cittadina e donna sono stati negati: Shirin Ebadi, prima iraniana a essere diventata magistrato nel suo Paese e prima musulmana a ricevere il premio Nobel per la Pace nel 2003, ha la forza di una combattente e lo dimostra con pacatezza e determinazione nel suo libro "Finché non saremo liberi", edito da Bompiani. Un ritratto sincero, nel quale l'autrice mette a nudo se stessa e la sua patria violentata e repressa dal regime che lei, con un'intelligenza vivace e un insopprimibile desiderio di giustizia, ha la forza di sfidare a viso aperto. Il libro svela nei dettagli la sua storia, con un linguaggio che coinvolge il lettore perché appare semplice, acuto e intenso, con tanti riferimenti non soltanto al lavoro svolto sul campo come avvocato (il governo le ha tolto la possibilità di fare il giudice) per difendere i diritti umani, ma anche alla sua vita privata. Un marito e due figlie che il "nemico" usa come arma di ricatto, una serenità familiare continuamente messa alla prova dalle minacce, la paura di essere uccisa, rapita o torturata solo per il coraggio di non piegare la testa di fronte ai soprusi: nonostante tutto questo, Shirin Ebadi non ha mai abdicato alla sua missione di rendere l'Iran un Paese democratico, più equo e meno dogmatico, ma soprattutto un luogo degno di quella parte di popolazione (la maggioranza) che anela al cambiamento ormai non più procrastinabile. Non si tratta infatti di rinnegare la storia e le tradizioni millenarie dell'Iran, ma solo di intraprendere una strada di giustizia, per un futuro migliore. "Questa è la nostra situazione. Nuotiamo nell'oscurità, senza cedere al pessimismo e al pensiero della costa lontana": è la risposta a chi le ha chiesto come avesse fatto a resistere negli anni, andando avanti un giorno dopo l'altro senza farsi scoraggiare. Innegabile il valore di questo libro, soprattutto ora, in un mondo in cui l'integrazione tra culture diverse è un problema di fronte al quale nessuno può più voltarsi dall'altra parte, e in cui l'estremismo religioso e politico rappresenta un cancro da estirpare. E nel quale in molti Paesi la repressione verso l'informazione e le voci libere di giornalisti e ricercatori è all'ordine del giorno.
La scrittrice compie con la sua scrittura un'operazione dal grande valore laico - sebbene tanti siano i riferimenti alla sua fede -, necessaria e non soprassedibile, proprio perché accende i riflettori sulle violenze fisiche e psicologiche subite dalle tante persone che il regime ha voluto imbavagliare. Anche la Ebadi ha vissuto in prima persona tanti momenti drammatici, vivendo intercettata e seguita, sacrificando il suo matrimonio e la libertà di muoversi nel suo stesso Paese. Per questo la sua voce non appare "altra" rispetto a quella dei tanti sofferenti di cui parla, per questo il suo libro colpisce ed emoziona, facendo riflettere il lettore.
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