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Edna O'Brien racconta sua madre

Edna O'Brien racconta sua madre

Il difficile rapporto madre-figlia in ''La luce della sera'

02 luglio 2015, 10:03

Paolo Petroni

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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   EDNA O' BRIEN, ''LA LUCE DELLA SERA'' (ELLIOT, pp.334 - 17,50 euro - traduzione di Cosetta Cavallante).
    La voce vespertina delle madri dice: ''non è colpa nostra se piangiamo così, ma è colpa della natura che prima ci riempie e poi ci lascia vuote'' e Edna O'Brien aggiunge: ''Questa è l'ira delle madri, questo è il grido delle madri la lamentazione che continua implacabile sino all'ultimo giorno, fino all'ultima sfumatura d'azzurro, e sono formiche, ed è tramonto ed è polvere che va a morire''. Ed è già in questa notazione la forza, il dolore, l'intensità della presa di coscienza di questo romanzo.
    Con bell'andamento narrativo, assieme a un'attenzione analitica a fatti e sentimenti, si racconta quella relazione particolare che c'è tra madre e figlia, fatta di bisogni e repulsioni, di illusioni e delusioni sino all'incontro finale, allo spegnersi delle luci della sera, ''quella che vediamo prima della notte, l'ultima luce che illumina prima della fine''.
    Due quindi le protagoniste. Eleonora, alter ego dell'autrice di cui si raccontano vari momenti autobiografici, da un primo matrimonio naufragato malamente alla conquista della propria indipendenza, dopo lo ''scandalo'' suscitato dal suo primo romanzo (''Ragazze di campagna'') che, raccontando e scandagliando individualità e libertà anche sessuale specie femminile nell'Irlanda anni '50, fu proibito dalla censura e costrinse la O'Brien a lasciare il suo paese. Allo stesso modo Dilly Macready è l'alter ego della madre della scrittrice, origine e legame indissolubile che la invita di continuo a tornare con lettere ispirate dall'amore, ma anche ricche di risentimenti e rimproveri, costruite per creare sensi di colpa.
    Lettere che ci sono proposte in appendice e che la O'Brien ha dichiarato essere praticamente quelle vere, originali di sua madre. ''Mia madre - ha dichiarato - mi scriveva tutti i giorni, pur essendo contraria alla scrittura, perché si vergognava che scrivessi in modo diretto del mio paese, della mia gente, di me stessa. O meglio, era emotivamente divisa nei miei confronti, perché da un lato si vergognava, ma dall'altro era orgogliosa della notorietà che avevo raggiunto''.
    Così la rimprovera della sua indipendenza e libertà, dello stare lontana, lei che pure da giovane aveva cercato una propria libertà, partendo come emigrante per New York piena di speranze e fiducia nel futuro e in se stessa. Un periodo duro, faticoso, cui torna però spesso diventata vecchia, malata e che non le resta che aggrapparsi ai ricordi, vivere di quelli. E le lettere sono una sorta di flusso di coscienza quasi joyciano e mostrano una sorta di talento istintivo che forse è quello passato nella figlia, che lo ha coltivato e portato a un livello letterario alto. Un libro ricco di storie, di situazioni e di personaggi, ma soprattutto di vita, non facile per i complicati soffocanti quanto liberatori rapporti con la religione, con una voglia di andare avanti, di cui la figlia prende coscienza pian piano.
    Una madre caparbia, volitiva, e assieme spaventata dalla fine, che arriverà mentre lei progetta di tornarsene un'ultima volta a vedere la sua casa e camminare sulle sue terre lasciando la casa di riposo in cui è rinchiusa, col cuore ormai fuori controllo. E allora, per chiudere il racconto, un ricordo ancora, questa volta della figlia, dell'io narrante, recente e significativo, della madre che si slaccia la sua camicetta della domenica per permetterle di infilare le mani ''sopra il reticolo di vene azzurrognole, in rilievo, come piccole trecce sul suo petto infossato. Il massaggio cominciava a piacerle, i tratti del viso più distesi, pareva felice al sentirsi accarezzata come se nessuno l'avesse mai fatto in tutta la sua vita, e in quell'attimo mi sembrò che lei fosse tornata bambina e che io fossi diventata la madre''.
   

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