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La Roma controvento di Fulvio Abbate

La Roma controvento di Fulvio Abbate

Grandezze e miserie di una città dalle mille anime

ROMA, 25 maggio 2015, 14:30

Anna Bigano

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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FULVIO ABBATE, 'ROMA VISTA CONTROVENTO' (BOMPIANI, 697 PP., 19 EURO)

 

Peccato per le dimensioni poderose, perché 'Roma vista controvento' è uno di quei libri che sarebbe utile portare con sé quando si gira per la Città Eterna, non necessariamente da turisti. Non aspettatevi però di trovarci spiegata l'archeologia del Foro di Augusto o la storia secolare di Castel Sant'Angelo, per quello consultate Wikipedia. Come già aveva fatto in versione più ridotta in un'opera simile, 'Roma, guida non conformista alla città' (Cooper 2007), Abbate raccoglie infatti una quantità di gustose spigolature su luoghi, persone, oggetti e fenomeni sociali da lui percepiti come parte integrante della natura composita di Roma, "un grande suk di emozioni, una "grande madre" un po' mignotta, un po' bigotta, un po' immorale", scrive nella prefazione Carlo Verdone, romano d.o.c. e a sua volta protagonista di un capitolo. E dunque l'Ara pacis e Trinità dei Monti, d'accordo, ma pure la sopraelevata di San Lorenzo e Marco Pannella, le buche stradali e i circoli del Pd, il Teatro Sistina e il bastone per i selfie, la Garbatella e il regista Elio Petri, Barbara Palombelli e i centri sociali, tutti in ordine rigorosamente sparso.


    Nato a Palermo ma trapiantato nella Capitale oltre trent'anni fa, Abbate racconta la città con l'originalità di chi non la dà per scontata, prendendosi gioco dei cliché con la sua ironia dissacrante, controvento appunto, ma anche un bel po' controcorrente. La gloriosa via del Corso, per dire, "è stata molto celebre fino a quando ha ospitato un McDonald's. Deve ormai l'intero suo carisma residuo alla presenza di Da Pietro il Fichissimo, storico negozio d'abbigliamento per ragazzi". Spostandosi idealmente poche decine di metri più in là, parlando della fontana di Trevi, Abbate glissa sulle sue sculture barocche e persino sulla divina Anita Ekberg che invita Mastroianni a fare il bagno con lei ne 'La dolce vita', per citare invece un dimenticabile remake con Christian De Sica e Dalila Di Lazzaro. Nella Roma di Abbate, multiforme, ammaliante e detestabile, tutti hanno diritto di cittadinanza letteraria, i ricchi pseudo intellettuali che a luglio affollano il ninfeo di villa Giulia per la finale del premio Strega così come il popolino di "termiti rosse" stipate ogni mattina nei vagoni della metro A.

 

    Persino i forestieri, che siano extracomunitari inurbati o gente della politica (si veda alla voce di folgorante brevità 'Silvio Berlusconi': "pendolare milanese, costui possiede un pied-à-terre anche a Roma"). E così il libro diventa anche un'indagine antropologica sui romani, quelli "de Roma" e quelli importati, per cui l'autore ha una proposta bizzarra: finanziarli con qualche forma di sussidio comunale, statale o magari addirittura dell'Unesco, "per non lavorare, anzi semplicemente per prendersi cura della città, cioè di se stessi.  In che modo? E' presto detto: nulla facendo". Farne delle comparse da film, insomma, con nessun'altra missione che tutelare l'immenso patrimonio capitolino urbano, storico e umano. 

   

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