LOUIS PAUWELS, MONSIEUR GURDJIEFF, (Edizioni Mediterranee, pp. 488, euro 24,50).
"Un libro terribile, composto da una raccolta di testimonianze che Louis Pauwels dedica a Monsieur Gurdjieff, il famoso mistagogo, l'uomo che aveva portato dall'Oriente un metodo per uccidere l''io', per ridivenire se stessi e per possedere la terra, il Signore del Priorato di Avon, ai piedi del quale Katherine Mansfield, affrontando grandi sofferenze, venne a prostrarsi e a morire". Queste folgoranti righe sono di Francois Mauriac e parlano appunto del misterioso e imperdonabile Gurdjieff a cui oggi Louis Pauwels ha dedicato il libro 'Monsieur Gurdjieff'.
Un approccio, da parte dell'intellettuale belga e autore insieme a Jacques Bergier di quella bibbia di curiosità esoteriche che è 'Il mattino dei maghi', per arrivare almeno in parte alla comprensione, a un avvicinamento alla figura di questo oscuro Maestro, ai suoi metodi e alle sue tecniche di realizzazione interiore. E questo fatto in maniera indiretta, attraverso le testimonianze attinte dai protagonisti di quella che fu una delle più curiose vicende intellettuali della prima metà del Novecento.
Troviamo di tutto. Tra cui appunto il rapporto, a fine vita, con la scrittrice neozelandese Katherine Mansfield; la testimonianza poi dello scrittore Rene Bariavel e quella illuminante di René Daumal che, reduce dalle sperimentazioni patafisiche e parasurrealiste del Grand Jeu e studioso di sanscrito, aveva scritto, ispirato dal suo pensiero, prima il Monte Analogo, poi il poema in prosa La Guerra Santa, e infine la gurdjieffiana 'Gran Bevuta'.
Gurdjieff, che aveva elaborato un sistema di crescita e sviluppo interiore che nasceva dalla compassione per la condizione umana, diceva che per l'uomo "il più piccolo scopo è quello di non morire come un cane".
Teorico dei Movimenti Sacri in cui sensazione, sentimento e pensiero si equilibrano, ovvero quelle danze dervisce che tanto scalpore fecero a Parigi ed a New York nel 1924 fino alla riappropriazione del sacro da parte di certe avanguardie teatrali come quelle di Artaud, Jerzy Grotowsky, Peter Brook e Alejandro Jodorowsky, Gurdjieff non si può dire non abbia lasciato un segno nonostante l'oscurità del suo pensiero.
"Quali fossero gli scopi del suo pensiero, lo studioso e filosofo non l'ha mai rivelato appieno neanche ai suoi più stretti discepoli ed amici - dice Pauwels nell'introduzione -.
Esteriormente la dottrina di Gurdjieff partiva da un punto ben preciso, cioè che 'l'uomo è una macchina': quando pensa, quando parla, quando agisce, non fa che obbedire a stimoli meccanici, a riflessi condizionati, ad automatismi. Una volta concepito questo il metodo, si sa che per uscire da questa realtà, il metodo era 'violento e brutale'".
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