ZAK EBRAHIM, 'IL FIGLIO DEL TERRORISTA. STORIA DI UNA SCELTA' (RIZZOLI, PP.144, 14 EURO). A volte può accadere che un'assenza sia più ingombrante di una presenza: è quello che è successo a Zak Ebrahim che nel libro 'Il figlio del terrorista' racconta le sofferenze e i soprusi subiti dalla sua famiglia per colpa del padre, il fondamentalista islamico El Sayyd Nosair, condannato all'ergastolo negli Stati Uniti. Zak, classe 1983, ha trascorso un'infanzia terribile, scandita dalla mancanza del padre (rinchiuso in prigione da quando il figlio aveva sette anni), dalla povertà e dai continui trasferimenti da una città all'altra.
Solo in età adulta, e il libro ne è il risultato più evidente, ha compreso quanto fosse ingiusto continuare a colpevolizzarsi, a sentirsi inadeguato, a sopportare le discriminazioni della gente, in una parola, a pagare sulla propria pelle le conseguenze delle azioni di chi lo aveva messo al mondo. Soprattutto perché le colpe di cui Nosair si è macchiato sono di quelle che non si dimenticano. Esse hanno infatti addosso l'atrocità insensata del terrorismo: Nosair dapprima fu responsabile dell'uccisione del rabbino Meir Kahane, fondatore della Lega di difesa ebraica, e poi contribuì dal carcere di Attica all'organizzazione dell'attentato del 1993 al World Trade Center, in cui sei persone morirono (tra cui una donna incinta di sette mesi) e mille ne vennero ferite. Un'altra conclusione a cui Zak è giunto grazie alla maturità è la ferma convinzione di non dover nascondere la propria storia, ma anzi di divulgarla il più possibile, per mostrare il suo personale miracolo, ovvero la ribellione a tutto ciò che Nosair rappresenta.
Educato al pregiudizio, all'antisemitismo, all'omofobia, al rifiuto di chi non è musulmano, Zak ha avuto il coraggio di scegliere un'altra strada, quella dell'empatia, della pace e della nonviolenza, ''strumenti curiosi - scrive - nel mondo che mio padre ha contribuito a creare''. Nel libro, ispirato alla conferenza TED alla quale è stato invitato a partecipare nel 2014 e poi scritto con il giornalista Jeff Giles, il giovane autore riesce a tenere il lettore incollato alla pagina, grazie a un linguaggio diretto e sincero.
Il vero punto di forza di questo lavoro è infatti proprio la sensazione di verità che ogni pagina lascia trasparire: la drammatica vicenda di Zak (il nome è nuovo, primo passo per cambiare vita) viene narrata senza filtri, mostrando tutte le tappe di una lenta presa di coscienza.
Un racconto avvincente perché permeato da un disarmante bisogno di normalità, da piccole gioie e grandi dolori, da emozioni comuni a ognuno di noi: quello che il bambino Zak chiede a suo padre è ''solo'' di mettere al primo posto l'amore per la sua famiglia, un sentimento che però muore sotto i colpi del fanatismo religioso e politico. Non è solo la stretta attualità del tema a rendere il libro in grado di coinvolgere. A sorreggerne la struttura è la capacità di insegnare molto, senza avere alcuna pretesa di farlo: se anche lontano dall'ambiente descritto dall'autore, il lettore può avvertire una vicinanza che al tempo stesso attrae e fa riflettere.
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